Una mattinata in carrozzina ad Arezzo. Mica semplice……

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Negli ultimi giorni sono state portate alla evidenza dei lettori aretini situazioni che dimostrano come nella nostra città non ci si preoccupa troppo per le persone costrette in carrozzina.

Una realtà che si trascina malamente da decenni, non è che ci siano state novità improvvise in peggio o in meglio: è un naufragare continuo, a contraddire le paparazzate di quell’assessore/a che alcuni mesi fa disse che Arezzo s’era guadagnata sul campo la medaglia di città accessibile.

L’aveva detto in occasione di una sceneggiata a favore della stampa, stampa che c’era caduta con tutte le scarpe dando bordone alle frasi puramente elettorali di una parte politica.

Parole che avevano offeso molti, quelli che vivono questa realtà, coloro che li accompagnano e li spingono, ma anche coloro che sono un po’ in difficoltà negli spostamenti, anziani e mamme col passeggino. Perché il problema della mancanza di pedane fruibili per permettere a disabili in carrozzina di utilizzare i mezzi di trasporto pubblico naturalmente non venne affrontato nella sceneggiata ed i pennivendoli si trattennero dal fare la domanda. E nessuno parlò della esistenza e fruibilità delle rampe per permettere l’utilizzo dei marciapiedi oppure dello ostacolo rappresentato da pali e paline e sostegni semaforici, cestini, fioriere, ingombri delle auto parcheggiate: non mi riferisco soltanto a quando il muso delle macchine finisce per occupare il marciapiede restringendone lo spazio utilizzabile, mi riferisco alle auto parcheggiate direttamente sul marciapiede. Abbiamo anche quello nella città vivibile, e i soggetti deputati a rimuovere questi ostacoli e a punirli non sono molto sintonizzati sulla problematica.

Un altro esempio voglio portare alla vostra attenzione: io abito vicino alla questura di Arezzo e compatibilmente con il meteo e gli orari utilizzo la carrozzina elettrica per andare a fare le mie trasferte più comuni, quelle all’ospedale.

Dalla questura all’ospedale conta attraversare il sottopasso di Pescajola, quello che da decenni collega due parti della città.

Dai tempi della realizzazione della rotonda al suo ingresso abbiamo imparato che occorre utilizzare il versante della palazzina del parcheggio Baldaccio per poter giungere all’attraversamento che poi conduce alla zona pedonale-ciclabile del sottopasso. I lavori per la costruzione della cosiddetta seconda canna hanno tuttavia introdotto un notevole cambiamento, l’attraversamento pedonale dal lato Baldaccio non è più utilizzabile e bisogna utilizzare il lato opposto: peccato che nessuno abbia avuto la cortesia di avvisare che è inutile percorrere tutto quel tratto di marciapiede per poi trovarsi la strada sbarrata e dover quindi tornare indietro. Così mi accadde di notare alcuni mesi fa e stupidamente pensai che fosse una svista e che avrebbero risolto il problema con un’adeguata informazione e sistemazione del percorso temporaneo che presentava numerose criticità. Che imbecille che sono.

Pochi giorni fa ho nuovamente tentato la fortuna riscontrando come tutto sia rimasto immutato e identico al momento di inizio del cantiere: nessuna indicazione, totale disprezzo per le necessità di chi si muove in carrozzina.

In foto si nota appunto assenza di indicazioni sulla deviazione, ma anche il cantiere deserto -pare abbandonato- dove dovrebbero essere le bici elettriche a noleggio.

Segue illustrazione sul meraviglioso metodo utilizzato (secondo le loro teste bacate) per impedire l’attraversamento alla rotonda (quando poi capita frequentemente d’incontrare chi attraversa a piedi o in bicicletta in maniera avventurosa perché l’operazione non è di per sé impedita, è soltanto consentita a rischio della propria vita per pedoni e ciclisti) con un jersey di plastica e la rete rossa da cantiere.

Goduto del paesaggio e costretti a tornare sui propri passi -cosa certamente gradevole nelle teste piene de’ merda di chi non si preoccupa delle categorie svantaggiate- è possibile attraversare per cambiare lato e percorrere la strada che passando dinanzi alla parte -ora chiusa- della questura porta verso il sottopasso, sperando che non ci siano sorprese perché nessuna indicazione guida in quella direzione, ci vai semplicemente perché il percorso tradizionale è impossibile alla carrozzina.

Ci si trova quindi sul lato opposto della rotatoria al momento di scendere dal marciapiede ed attraversare esattamente dinanzi all’imboccatura del sottopasso per quindi rimontare sul marciapiede che va alla pedonale ciclabile: sta scippa de’ cazzo.

Ecco la foto della rampa di discesa – salita a entrambi i marciapiedi;

è costituita da una badilata di bitume buttata a casaccio: con un’inclinazione a circa 40°, per una larghezza assolutamente inadeguata, un mix che espone facilmente al ribaltamento della carrozzina. Bravi, anzi brava.

Allora, per fare la rampa nella mia proprietà privata il tecnico ha ritenuto adeguarsi agli standard previsti dalla normativa che devono essere presi a riferimento dalle istituzioni: orientativamente una rampa inclinata al 7% con larghezza non inferiore al metro. Io non sono andato lì con metro e goniometro, ma la rampa costruita su questi marciapiedi pubblici è galatticamente lontana dalle previsioni di legge (e dalla attenzione ai cittadini) con il risultato di esporre i disabili ad un grave e serio rischio di ribaltamento e caduta, se va bene l’impuntamento delle motrici che comunque non è boccon da ghiotti.

Questa volta mi assicuro che il messaggio arrivi: oltre alla pubblicazione ne invierò nota all’assessorato ai lavori pubblici e all’assessore/a che si compiaceva per la accessibilità aretina. Non soltanto per fargli sanare questo orrore, per avvisarli che sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporto più.

Ps: lo avrei mandato anche al garante aretino diritti disabilità, ma non se ne trovano contatti sul web. Bohh….

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