Un atto di lesa maestà

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Cuno Tarfusser

Un atto di lesa maestà: “Come ti permetti Cuno Tarfusser, sostituto procuratore alla procura generale di Milano, di chiedere la revisione del processo per Olindo e Rosa senza il mio permesso?” Deve aver pensato questo Francesca Nanni, procuratrice generale di Milano, quando ha richiesto l’avvio di un procedimento disciplinare contro uno dei procuratori del suo ufficio reo, ai suoi occhi, di aver applicato nientepopodimeno che… il codice di procedura penale! Il nostro codice di rito prevede questo strumento speciale di impugnazione di una sentenza passata in giudicato soltanto in casi tassativi e stabiliti dalla legge per rimediare a sentenze emanate su presupposti inficiati da elementi che hanno indotto a comminare la condanna. Mica roba strana eh… già nel ‘700 se ne parlava. Addirittura un tipo di nome Voltaire, del quale è celebre l’aforisma, affermava: “È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente.”

E così la giustizia italiana, un pachiderma lento come una tartaruga soltanto nei casi che affliggono i comuni mortali, ha messo il turbo e in men che non si dica la Corte di Cassazione ha aperto un bel procedimento disciplinare a carico del magistrato. Non un giudice a caso eh… Cuno Tarfusser è tra i più preparati magistrati italiani. Ha ottenuto straordinari risultati a Bolzano, città in cui e’ stato procuratore capo e soprattutto alla Corte Penale Internazionale dell’Aia dove ha esercitato, per oltre dieci anni, prima di tornare in Italia e mettere gli occhi su una delle vicende di cronaca più cruente degli ultimi anni.

Stiamo parlando della strage di Erba, tra i crimini più atroci che si ricordi nella storia d’Italia. Una famiglia sterminata, quattro vittime: Raffaella Castagna, di 30 anni, suo figlio Youssef di appena due anni, sua madre Paola Galli e una vicina di casa, la 55enne Valeria Cherubini. Ed è sulle anomalie di questo caso, e sulla pista presa in considerazione dagli inquirenti di allora, che si è focalizzata l’attenzione di Tarfusser. Tante anomalie, testimonianze incerte, confessioni prima fatte e poi ritrattate hanno convinto il magistrato a presentare la richiesta di revisione del processo. All’epoca della strage, era il 2006, tutta l’indagine punto’ su una coppia di vicini di casa: i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. La coppia aveva avuto pesanti litigi con le vittime per questioni condominiali che poi si erano inasprite. Tanto basto’ per condannarli all’ergastolo.

Cuno Tarfusser da Merano, mentalità asburgica e pragmatismo lombardo-veneto al di fuori delle correnti, patogeni che oggi inquinano la magistratura, è indubbiamente il magistrato che più ha provato a denunciare e a curare i mali della giustizia italiana. Fuori dai denti e senza peli sulla lingua. “Sono tornato dall’Olanda e mi è sembrato di ripiombare nel Medioevo giudiziario” sono le sue parole dopo quasi undici anni trascorsi alla Corte Penale Internazionale. In un’altra intervista aggiunge: “I magistrati sono tendenzialmente convinti di essere una categoria superiore, di avere sempre ragione. Questo perché sono loro che decidono qualsiasi questione sottoposta al loro giudizio. I miei colleghi impazziscono quando io dico che noi siamo al servizio dei cittadini e che, mutuando l’esempio dalla ristorazione, sono questi a essere seduti al tavolo, mentre noi, operatori della giustizia, siamo cuochi, camerieri, lavapiatti e baristi.”

Parole che devono aver indispettito, e parecchio, i colleghi della casta, quegli “intoccabili” che probabilmente hanno visto in lui non più un loro simile ma un nemico da abbattere. Da qui le indagini e il procedimento disciplinare sulla riapertura del caso di Erba che è solo l’ultima critica al suo operato. L’accusa contro Tarfusser sarebbe di non aver aspettato l’ultima parola, quella del procuratore generale, prima di sottoporre la richiesta di revisione alla corte d’appello, come prevede il regolamento interno della procura. E fa paura pensare che la vita di due persone, forse innocenti, sia appesa ad un semplice regolamento interno come quello di un qualsiasi ufficio comunale. D’altronde, prosegue Tarfusser: “Il nostro sistema si basa tutto su Regi Decreti firmati dal Re e da Mussolini. Ma vi pare normale che in quasi ottant’anni di Repubblica questo Paese non sia riuscito a darsi un sistema giudiziario repubblicano?”.

Eh sì caro Tarfusser, tanto normale non è, anzi non lo è per nulla. Come non lo è questa giustizia a due velocità. Per aprire un procedimento disciplinare contro Tarfusser sono bastate poche settimane mentre, è notizia recente, a Prato si sta ancora aspettando l’avvio di un processo per due omicidi avvenuti nella comunità cinese nel lontano 2011. Sarebbero spariti alcuni fascicoli, dicono. Quello che dovrebbe sparire invece è l’atteggiamento di quei magistrati che usano la loro funzione come meglio gli aggrada, ma sempre “in nome del popolo italiano”.

Marino Giambassi

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