di Roberto Verdelli
La Federazione Regionale degli Architetti della Toscana è uscita pochi giorni fa con un comunicato stampa con il quale si condannava il fatto che la Regione Toscana, in piena crisi coronavirus, emanasse, “…con un tempismo sconcertante, l’ennesimo atto di superflua burocrazia, con l’uscita del regolamento di attuazione dell’articolo 141 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 contenente l’elenco della documentazione e degli elaborati progettuali da allegare agli atti abilitativi”.
L’Assessore Regionale Vincenzo Ceccarelli, pur sconcertato dalle dichiarazioni degli Architetti, ha deciso di sospendere la pubblicazione del regolamento offrendo la propria disponibilità a considerare eventuali osservazioni, pur lamentando che, finora, non aveva ricevuto concrete proposte di modifica.
Ho provato ad entrare nel merito della questione.
La Regione da tempo si è posta il problema di rendere uguali, in tutto il suo territorio, le modalità di presentazione delle pratiche edilizie. In linea di principio sembrerebbe un’idea giusta e da condividere. Per fare questo ha prodotto, nel tempo, leggi, norme, regolamenti. Recentemente ha introdotto modelli standard da compilare ai quali fare riferimento per la presentazione delle pratiche edilizie (33 pag. per un permesso di costruire, 35 pag. per una SCIA e 13 pag. per una comunicazione di attività edilizia libera).
Adesso, in attuazione ad un altro articolo di legge, ha emanato questo contestato regolamento. Con esso si indicano quanti e quali elaborati debbono essere allegati a ciascun tipo di pratica. Sono circa 40 differenti elaborati con una tabella finale che si incrocia con oltre 30 differenti tipi di intervento. Il tutto riassunto in otto articoli e dieci pagine. Alcuni elaborati appaiono francamente eccessivi come quello relativo al numero, ubicazione e specie delle alberature presenti e di progetto (immagino nel giardino e non nel balcone) od ancora l’indicazione di punti fissi irremovibili riferiti alla quota assoluta sul livello del mare. Ma, come in tutti i regolamenti, anche questo contiene le sue “scappatoie” per cui tali elaborati, in alcuni casi, non saranno obbligatori. Insomma tanto rumore per nulla. Le leggi ed i regolamenti dovranno poi essere interpretati.
L’art. 5 del Regolamento inizia così: “Gli elaborati progettuali relativi all’intervento da realizzare, …… garantiscono la completa illustrazione del progetto e della effettiva consistenza dei lavori e contengono tutte le informazioni necessarie per consentire la verifica della conformità del progetto alla vigente normativa in materia edilizia ed urbanistica”.
Queste cinque righe potevano essere l’intero regolamento. Era sufficiente così! Anzi, non occorreva neanche scriverle in quanto ovvie e scontate.
Ed allora perché è stato scritto?
L’Assessore ricorda che l’art. 141 della L.R. 65/2014 sanciva l’obbligo di redigere detto regolamento ma a questo mi viene facile rispondere con pacata ironia: “La L.R. 65/2014 ha avuto, ad oggi, 440 modifiche, si poteva fare la modifica numero 441. Nessuno si sarebbe lamentato e forse nemmeno accorto!”.
L’Assessore ricorda inoltre: “A tutt’oggi in Toscana si rilevano disallineamenti tra i Comuni e per le stesse pratiche possono essere richiesti documenti ed elaborati differenti. Questo è stato motivo di frequenti lamentele, anche da parte dei professionisti, e anche per questo abbiamo deciso di tentare di uniformare il sistema”.
Allora il problema non è della Regione ma dei professionisti che hanno ancora bisogno di: allineare, uniformare, regolare e quindi, in una sola parola, “burocratizzare” ulteriormente il sistema. E’ pur vero che gli adempimenti burocratici costituiscono ben più del 50% del lavoro svolto in uno studio professionale e che quindi sono anch’essi fonte di reddito, ma è anche vero che esiste una “soglia di sopportazione” che vale sia per il professionista che per l’utente. Questa soglia è stata superata da tempo e queste discussioni lo stanno a testimoniare.
Gli Ordini Professionali nulla hanno fatto in questi anni per impedire, nel nostro settore, una colossale deriva burocratica sia a livello locale, regionale e nazionale. Come in questo caso anche altre volte, le leggi, i regolamenti, le circolari applicative, sono diretta conseguenza di specifiche richieste del mondo delle professioni. Gli enti ed i burocrati non si sono fatti sfuggire l’occasione. Nel mio ufficio, ormai, se non c’è lo specifico stampato, non sanno più come preparare un’istanza.
Bisogna rassegnarsi al fatto che i luoghi non sono tutti uguali, che ci sono Comuni piccoli e grandi, di montagna e di pianura, realtà che si stanno spopolando oppure che crescono impropriamente. I professionisti non sono tutti uguali e non sono uguali nemmeno i tecnici che esaminano le pratiche all’interno delle amministrazioni. Dobbiamo rassegnarci ad accettare queste diversità perché, per fortuna, il nostro non è un lavoro ripetitivo. Ogni pratica è diversa dall’altra e non sono pensabili processi standardizzati. Uno studio non è una catena di montaggio ne possiamo pensare di trasformarlo in questo. Con questo regolamento si ripete lo stesso errore che è stato commesso in occasione della uniformazione dei parametri edilizi. Un errore culturale grave che è nato, anch’esso, da lamentele delle nostre categorie.
L’altro grande equivoco è aver tentato di annullare le valutazioni di merito sui progetti. Si è cercato di tradurre in norme il concetto della correttezza formale (o meglio della bellezza) di un intervento. Abbiamo prodotto migliaia di pagine di normative per cercare di definire questi concetti. Non ci siamo ancora riusciti, oppure i risultati ancora non si vedono.
La vicenda di questo regolamento non deve preoccuparci. Si risolverà con una mediazione. Gli Ordini saranno invitati ad un tavolo di concertazione per concordare le modifiche da apportare.
A quel momento saremo tutti più tranquilli perché, parafrasando un famoso drammaturgo tedesco, “Staranno tutti lavorando duramente per preparare il loro prossimo errore.- B. Brecht.