di Francesco Checcacci
Molti parlano di transizione ecologica, specialmente in questo periodo post lockdown e di conferenze per il clima.
Sicuramente ci sono opportunità importanti in settori che si stanno già espandendo, legati all’innovazione ed alla riqualificazione in chiave di risparmio energetico di edifici ed infrastrutture.
Altrettanto certamente, esistono rischi importanti di perdita di quote di mercato e conseguentemente posti di lavoro in settori ‘tradizionali’, come quelli legati ai combustibili fossili ed ai trasporti, particolarmente per automobili alimentate a benzina e diesel. Per queste in particolare, la transizione verso auto elettriche implica un numero di componenti molto inferiore, che a sua volta richiederà un ridimensionamento delle catene di fornitura delle quali l’Italia e l’Europa sono parti molto importanti. L’impatto immediato, nel breve periodo, sarebbe quindi di una diminuzione notevole dell’occupazione in questi settori, mentre nel medio-lungo sarà possibile agganciarsi alle molte opportunità offerte in settori per ora poco sviluppati o ancora nemmeno esistenti.
Altra questione è il prezzo di materie prime e trasporti, sempre nel breve termine, di cui stiamo vedendo già adesso un aumento notevole.
Le motivazioni di questi aumenti sono in parte da ascrivere a componenti transitorie, come un boom di domanda dovuto alla ripartenza dell’economia post lockdown proprio in corrispondenza delle scorte natalizie.
Altre motivazioni sono legate direttamente, ma soprattutto indirettamente, alla transizione ecologica. Infatti, negli ultimi anni, sempre meno investimenti sono stati dedicati allo sviluppo e raffinazione di fonti fossili, in vista di un loro minor utilizzo futuro a favore di fonti diverse, principalmente rinnovabili o almeno non inquinanti.
Inoltre, i produttori di petrolio e gas sentono sempre più vicino un loro superamento e colgono quindi l’occasione per ridurre l’offerta, facilitando prezzi alti per avere proventi per finanziare la loro stessa transizione (o almeno così affermano).
A coronamento della conferenza COP di Glasgow, poi, molte istituzioni finanziarie si stanno impegnando, anche pressate dai loro azionisti, a non finanziare più sviluppo di fonti fossili, rendendo ancora più difficile sviluppare le stesse in Paesi occidentali, che restano così ancora di più alla mercé dei Paesi OPEC+, principalmente Russia e Medio Oriente.
L’effetto immediato è che un aumento delle fonti energetiche si traduca in un impatto esageratamente alto sulle fasce a reddito basso e medio della popolazione.
Infatti, le famiglie a reddito inferiore spendono una porzione maggiore del loro reddito in carburante. Inoltre, un aumento del carburante si riflette fortemente sul prezzo dei generi alimentari, soprattutto quelli freschi, che non è possibile immagazzinare per tempi lunghi.
In sostanza, la crescita del prezzo dei carburanti rappresenta una vera e propria tassa regressiva, che cioè colpisce maggiormente i redditi bassi.
Se questo effetto dovesse perdurare, ci sarebbe un pericolo vero per la transizione ecologica, che ormai praticamente tutti considerano indispensabile. È infatti prevedibile che il consenso diffuso verso le tematiche ecologiche di oggi si trasformi in una contrarietà presso le fasce di reddito basse e medie, che subiscono sproporzionatamente gli effetti della transizione sia in termini di maggiori prezzi che di prospettive lavorative peggiori per lavoratori meno specializzati.
In questo caso, prima o poi emergerà un’offerta politica populista che interpreterà queste legittime obiezioni per imporre un’agenda presumibilmente protezionista se non autoritaria, le avvisaglie della quale abbiamo già visto in tempi recenti: questa volta sarà molto più difficile, però, arginare queste spinte, appoggiate anche da agenti al servizio di Paesi produttori di materie prime con mire autoritarie.
Sarà quindi indispensabile effettuare una transizione non troppo repentina: il tutto e subito è infatti, in questo come in molti altri casi, decisamente nemico del fare, con buona pace degli ecologisti radicali che per lo più pontificano da costosi salotti in costosi appartamenti in costosi quartieri di costose città.
I gilets gialli in Francia sono nati proprio così. Il fenomeno accresce anche il divario città-campagna, con le grandi città sempre più green e senza auto e le zone più rurali sempre più dipendenti dai carburanti.
Esatto. Va gestita in modo pragmatico altrimenti non se ne farà nulla
oh..cielo!.. Martelli…i “gilets gialli”!…che orrore!
Fa che s’alzi la temperatura d’un paio di gradi e i gilets gialli, se qualcuno se li ricorderà, se li ricorderà come una setta di burloni che si riunivano il sabato per pigliarsi a gavettoni con la polizia. I problemi mondiali ormai sono così enormi e difficilmente gestibili che c’è solo da sperare che non prendano sempre più piede le pratiche violente, le guerre, le azioni anti umanitarie. I cinesi hanno più di 800 centrali a carbone e continuano a incrementarle…gli indiani qualcosa di simile. Dicono: non si può mica far morire la gente di fame per non farli morire per gli effetti del surriscaldamento. E hanno già scelto la transizione lenta, sono pragmatici loro, magari sperano che noi in occidente si sia un po’ più veloci e la cosa possa compensare le lentezze loro. Che poi noi si sia veloci è tutto da dimostrare: la velocità è relativa a fenomeni che possiamo poco controllare, c’è solo da sperare di non dover dire: andavo veloce come un cavallo…e invece mi ci sarebbe voluta una Ferrari…
Va tutto bene il suo ragionamento se ci fosse inserito anche come transizione ecologica alle fonti fossili il nucleare.
È implicito
E’ da decenni che sento sbeffeggiare “gli ecologisti radicali che per lo più pontificano da costosi salotti in costosi appartamenti in costosi quartieri di costose città.” E ci saranno anche, non discuto. Però mi sembra che siete stati voi economisti che da sempre avete considerato le tematiche ecologiste come il due di briscola e con un certo fastidio a essere i veri radicali: Radicali nel negazionismo della rilevanza del problema ambientale; nel culto del “ragazzi fateci lavorare che qui conta solo la moneta, il PIL, il deficit e la Borsa”, e vi siete trovati all’improvviso superati come una moda qualsiasi, da guru dello sviluppo economico a retrogradi che dei problemi più importanti dell’umanità non c’hanno mai capito una mazza. Dell’assunzione di centralità di certe tematiche da parte di chi sembrava attento solo alle banche e al grande capitale non mi capacito nemmeno io che le ho sempre molto sentite, tanto da diventarne quasi sospettoso che non ci sia dietro la fregatura. Il nuovo trend implica una massa di grandi problemi da risolvere, e il primo sembra appunto se sia possibile procedere a una transizione soft per non creare troppi sconvolgimenti, oppure non siamo già arrivati troppo tardi.
Visto che nei costosi salotti dei costosi quartieri delle costose città ci stanno di regola tipi sociali molto diversi dagli ecologisti radicali, e sicuramente tanti “economisti”, mi vien da dire: “dovevate pensarci prima!”
Lo spieghi tu alle famiglie a reddito basso che devono diventare più povere perché ‘siamo arrivati tardi’?
Perchè se ci fosse dubbio gli economisti la maniera di fare soldi per sè e altri la trovano sai?
Gli ecologisti rifondaroli non lo so mica
Nessuno si augura che le famiglie diventino più povere. Quando però c’era da tagliare il deficit a costo di deprimere l’economia glielo avete spiegato bene e martellato in stereo dalla mattina alla sera per anni. Forse, chissà, era anche giusto, ma non si capisce perché ora ci sia la gara europea e nazionale al contributo, alla sovvenzione, allo spendi e spandi, non mi sembra che il problema del deficit sia stato risolto. Mi sembra che la distribuzione delle risorse si sia spostata per tanti anni più verso chi ha che chi non ha e non ho visto tra gli economisti di punta ( e per lo più neanche di tacco) molta commozione per i redditi bassi o il crescere della povertà. Non è che bisogna fare a gara di chi è più sadico, ma se, per dire, si alzano i mari, si estende la siccità, aumentano le catastrofi ambientali, la scienza di gran lunga maggioritaria prevede un peggioramento progressivo e richiede un’inversione di tendenza urgente, glielo spieghi te alla gente che è meglio cambiare le cose pianino adagino? Se li vuoi prendere per il culo sì. Forse, visto che sei il primo a dipingere gli economisti come una casta intoccabile, bisognerebbe che anche qualche economista cominciasse a trovarsi in mezzo alla strada come può capitare a tutti gli altri. Forse quel che manca alla tua analisi, che pur parla di problemi reali, è che si deve trovare il modo di redistribuire le risorse più equamente per far fronte a questi problemi.
Non hai capito proprio nulla. Studia poi ripassa.
In mezzo alla strada c’è di tutto. È toccato anche a parecchi economisti. Sei solo tu e pochi altri, che evito di qualificare, a pensare che esistano caste intoccabili e soprattutto a generalizzare con insipienza più unica che rara contro una categoria talmente eterogenea da potersi considerare non esistente. Il classico straw man argument
Mi sembrava fossi stato te a sostenere che gli economisti cascano sempre in piedi. Le caste intoccabili esistono eccome, la difesa con le unghie e i denti di interessi corporativi a scapito dell’interesse comune è uno dei principali problemi sociali.
I tuoi argomenti sono “non hai capito nulla” “studia poi ripassa” “insipienza” e l’altezzosamente barricarsi dietro l’ “inglesorum” per ridicolmente attribuire ad altri caratteristiche appunto proprie.
Che gli economisti non sono una categoria omogenea è ovvio, io parlo degli economisti che hanno dominato negli ultimi decenni la scena dei media, delle università, delle istituzioni. E che hanno pontificato a senso unico senza mai dare il minimo d’attenzione alle conseguenze economiche che poteva avere il problema ambientale. Che hanno appunto sempre liquidato i “warning” ecologisti con la puzza al naso di chi doveva sopportare questi molestatori del progresso economico. E che poi, senza mai uno straccio di autocritica, si buttano a risolvere ora i problemi della transizione ecologica perché al solito loro sono i saggi e gli altri ecologisti radicali da salotto. Ci sono stati nel mondo migliaia di ecologisti ammazzati nell’indifferenza quasi generale perché denunciavano e contrastavano gli scempi del pianeta, altro che i salotti. E anche nei tuoi articoli, che pure io ho letto sempre con interesse, non ho mai visto parlare di questo problema ambientale che ora sembra essere, almeno per il mondo occidentale, quello a cui tutte le azioni economiche devono rapportarsi, fosse anche, come sostieni te, per garantire “una transizione non troppo repentina”.
Non è che te sei quello che ragiona e gli altri sono i “grertini” , i “radicali”, gli stupidi. Siamo giunti a un punto in cui è necessaria una transizione veloce ed è ovvio che le transizioni veloci possono comportare traumi e sconvolgimenti. Il punto in discussione nel mondo è ” sarà sufficiente una transizione, che pur causerà anche lacrime e sangue, a salvarci il culo?” Allora è evidente che non si doveva arrivare a questo punto e bisognava pensarci prima, ma gli economisti, parlo di quelli che hanno dominato la scena mondiale, c’hanno pensato proprio poco. Non è che le crisi ideologico-culturali coinvolgano solo i filosofi, i politici, o altre categorie come,che so, per dirne una la magistratura. Forse anche gli economisti dovrebbero fare un po’ i conti con quel che hanno detto e fatto.
I conti non si fanno per categorie, ma ognuno per sè. Non è affatto vero che la maggior parte segli economisti non avevano parlato della questione ambientale: ci sono articoli a partire, a memoria, dagli anni 60.
Soprattutto poi sulla questione fonti fossili in Europa, dato chd ne è priva, se ne parla da ben prima dell’ecologismo.
In effetti studi sul petrolio, anche di economisti, sono pubblicati dal primo dopoguerra.
Certo se uno legge i quotidiani è difficile che li trovi…
Questo per chiarire che, in assenza di prove, tutte le ipotesi che non cozzino con i fatti sono legittime ed è normale che ci fosse di tutto. Ma questo vale anche per tutte le scienze, compresa la fisica sulla quale non esiste al momento una teoria univoca, figuriamoci una prova, sulla struttura esatta della materia
Concordo con tutti i suoi commenti.
Fa ridere che chi ci ha portato a questo per decenni, adesso proponga le soluzioni.
Prima parlano di transizione ecologica, poi nell’articolo dopo dicono “che bella la ripresa dei consumi”….rimanendo ancora legati al consumismo.
Il futuro sarà tornare indietro: riparazione, riuso, riciclo (come i nostri antenati).
Ma ancora c’è chi considera gli inceneritori non uno spreco di risorse ancora riutilizzabili, ma una fonte di energia rinnovabile…
Non so fino a che punto concordiamo. Il problema e’ enorme, gestire una transizione non di facciata puo’ equivalere a scossoni paragonabili a quelli che subiscono i paesi per una guerra, e i cambiamenti culturali di massa raramente si realizzano nel brevissimo tempo che sarebbe necessario. L’ umanita’ e’ una brutta bestia, meravigliosamente costruttiva e insieme tragicamente distruttiva. Mi sembra che Checcacci butti la palla in corner sulle mie contestazioni agli economisti, certo si sarà studiato di tutto e ci sono stati economisti “ecologisti”.Dice…”certo se uno legge solo i quotidiani..”, ma l opinione pubblica non si forma certo sugli studi e le riviste super specializzati, e gli economisti che hanno messo in guardia sulle conseguenze di un ‘economia contro l ambiente sono stati una sparuta minoranza perculata dai santoni del PIL. Basta pensare a come l idea di ” decrescita felice” sia stata non normalmente discussa ma massacrata come fosse un delirio. Le rivoluzioni economiche richiedono l apporto tecnico di studiosi specializzati, come appunto anche gli economisti. Ma l esperienza c insegna che il grande potere economico controlla in fondo sempre tutto e e’ da vedere se la scienza economica riesce a essere autonoma da chi pensa ( o s’ illude) di poter innanzitutto salvaguardare interessi particolari.
Comunque gestire sta patata bollente che abbiamo fatto di tutto x trovarsi in mano richiede conoscenze, studi, idee e azioni che purtroppo non sono supplibili dall idea generale che occorre una svolta radicale quale possiamo avere noi. Occorre che ci sia chi da buone gambe pratiche all idea e passare ai fatti e il compito e’ da fare tremare i polsi. Speriamo che l evoluzione tecnologica, che a volte e’ a livelli stupefacenti, ci dia una mano a sopperire ai ritardi.
Sugli inceneritori ha ovviamente ragione. Presentano alla gente le meraviglie degli inceneritori in mezzo alla citta’ con la pista da sci sopra e il messaggio e’ ovviamente pazzesco, deresponsabilizzante, e’ che il problema dei rifiuti non esiste, tutto può sparire per aria e noi ci si può sciare sotto, tanto la Terra ha risorse ancora infinite e sfruttabili senza conseguenze.
Io l’ho sempre definita come “decrescita necessaria”, perché felice non è molto azzeccato come termine. Il consumismo ha reso la nostra vita molto comoda, e tornare indietro non sarà mai indolore, ma richiederà sacrificio.
Però se vogliamo avere ancora un pianeta su cui vivere…