di Alessandro Artini
L’autobiografia di Silvia Scartoni, narrata nel suo libro “Riparto da me”, edito da Porto Seguro, può essere letta come una storia di empowerment, cioè di un progressivo potenziamento della propria identità. Una vicenda in cui una giovane donna decide di rompere una relazione coniugale insoddisfacente e inizia a navigare in mare aperto, senza le tradizionali sicurezze offerte dal matrimonio. Un viaggio esistenziale difficile anche perché nel suo equipaggio c’è la figlia di quattro anni, Stella, che deve essere accompagnata e protetta.
Quella di Silvia, sotto molti aspetti, è un’esperienza comune a molte donne, le quali spesso accettano il compromesso offerto da una coltre di malessere che, mentre rilascia un qualche tepore, al contempo le avviluppa in vite che non appartengono loro e che riverberano sciami di infelicità. Oggi, nel mondo occidentale, più della meta dei matrimoni si rompono, ma i nostri costumi non sono ancora predisposti ad affrontare la ricostruzione dei percorsi esistenziali, particolarmente quando le rotture avvengono per implosione e a terra rimangono le macerie delle sofferenze e delle incomprensioni. L’eco dolente del rapporto perduto e del conseguente insuccesso personale, comunque siano andate le cose, richiede un impegno straordinario, cui non sempre corrispondono le risorse individuali. Talvolta le forze sono esigue e debbono essere ricostituite. Ciò riguarda particolarmente le donne, tutt’oggi educate a ruoli complementari e la cui soggettività tradizionalmente si pone come dimidiata o rinunciataria all’interno della coppia. Molte cose stanno cambiando, ma ancora il mondo sociale, sotto l’aspetto lavorativo in particolare, non sempre riconosce la piena parità e le discriminazioni sono tutt’altro che superate.
Silvia, pur avendo compiuto numerosi viaggi con il suo compagno, divenuto in seguito marito, e pur avendo raggiunto molteplici mete, anche molto lontane, adesso, dopo la separazione, non sa come trascorrere un sabato pomeriggio con la figlia bambina. Non sa come trattare il tempo, che ha perduto la connotazione abitudinaria preesistente nell’ambito della coppia. Ogni attimo ha smarrito la “naturalezza” dell’abitudine che lo improntava e deve esse essere ricostruito: un’operazione immane anche perché va realizzata assieme alla figlia. Ma anche lo spazio fisico, quello della propria abitazione ad esempio, va adesso ricostruito, sul piano dei significati che i luoghi devono ri/acquistare. Per molte donne si tratta di un compito arduo, quello della gestione del tempospazio, a confronto del quale spesso si riscontra la percezione di una inadeguatezza personale e la conseguente perdita dell’autostima. Per questo Silvia si rivolge a una psicologa e decisamente l’incontro sortisce affetti positivi. Ella nuovamente si misura con la vita, ritrovandone il senso e, a seguito di un processo estenuante di tentativi ed errori, finalmente individua la propria strada. La sua passione per i viaggi e la voglia di avventura a un certo momento emergono come un bisogno profondo e impellente, atto a comprendere anche un orizzonte educativo per la bambina. Così, madre e figlia partono per mete lontane, in Cambogia, in Lapponia, in Olanda, nell’isola di Giava, ecc. e hanno esperienze coinvolgenti anzitutto per la bellezza naturale dei continenti, poi perché sperimentano l’accoglienza inattesa e sorridente di gente sconosciuta. Conoscono anche gli aspetti più duri, quelli della povertà in certe aree del nostro pianeta, della compravendita di esseri umani, cioè della schiavitù, e della morte, incontrando per strada il cadavere di un bambino o una bambina. Esperienze profonde e indimenticabili, le quali assumeranno per Stella anche un’importante valenza educativa, che nessuna scuola potrebbe offrire.
Il libro, dunque, è un’autobiografia, narrata con una scrittura fresca e sincera, che non esita a soffermarsi sugli errori compiuti, senza il paravento di giustificazioni posticce. Forse il percorso di Silvia non è tanto quello dell’empowerment, cioè di una affermazione di sé in termini di consapevolezza e controllo delle proprie scelte e azioni, ma quello di un vero e proprio percorso di scoperta del codice dell’anima, cioè del senso e dello scopo della propria vita.
Silvia ha una vocazione: quella di viaggiare. Questo è quanto esige la chiamata interiore della sua anima, cui ella deve rispondere. Nessuno di noi nasce a caso, così suggerisce il grande psicoanalista americano James Hillman, il quale indaga sugli archetipi che guidano i nostri percorsi esistenziali. Silvia non poteva non soggiacere alla sua curiosità verso il mondo e al desiderio di avventura, ma, dal canto suo, ha saputo interpretare questa sete di conoscenze in termini educativi e questo è sicuramente il dono più grande che ella offre alla piccola Stella.
Il suo libro sarà presentato domenica prossima 12 febbraio, alle ore 17.30, presso il Circolo Artistico, in Corso Italia n. 108.