di Alessandro Artini
Il medagliere olimpico di ieri 4 agosto registrava l’ottava posizione dell’Italia con sei ori, l’ultimo dei quali conquistato in una meravigliosa gara di ciclismo su pista, dove la squadra italiana, guidata da Filippo Ganna, con i pronostici sfavorevoli, ha effettuato uno straordinario recupero contro quella danese, agli inizi in testa. C’è di che essere soddisfatti e il sesto oro ha ancora di più solleticato il nostro orgoglio nazionale, dopo la doppia vittoria di Jacobs e Tamberi che ci ha fatto toccare il cielo con “l’uomo più veloce del mondo e quello che salta più in alto”. Siamo davanti ai cugini francesi, agli olandesi “frugali”, agli austriaci “austeri” e a tanti altri.
Però siamo dietro la Gran Bretagna, che è al quarto posto con quindici medaglie d’oro, quasi tre volte il nostro bottino aureo. La Gran Bretagna sembra tenere testa alle grandi nazioni, come Cina (32 ori) e Stati Uniti (25), nonostante sia un paese confrontabile con il nostro, per esempio dal punto di vista del numero degli abitanti (68 milioni contro i nostri 60) e da quello dell’estensione territoriale (l’Italia è un po’ più grande). È vero che al terzo posto del medagliere c’è il Giappone (21 ori), ma il successo di questo paese era in qualche misura prevedibile, in quanto nazione ospitante delle Olimpiadi.
Dunque, da dove scaturisce il successo degli Inglesi (e Scozzesi e Irlandesi e Gallesi)?
Anzitutto è bene ricordare la tradizione sportiva dei popoli anglosassoni, i quali sono inventori di alcuni sport, come il calcio, il tennis, il golf e altri ancora. La passione per gli sport è molto diffusa, al punto che molti termini inglesi sono usati a livello internazionale per indicare gli strumenti sportivi, le regole e anche le tecniche.
Diversamente da quanto avviene in Italia, le scuole inglesi riconoscono le attività sportive come essenziali ai processi educativi e ne favoriscono le pratiche. Ciò avviene fin dalla scuola primaria, che, diversamente dalle scuole italiane, dove tali attività sono usualmente affidate alle maestre, registra la presenza di docenti appositamente formati per l’educazione fisica. Da noi, le maestre più esperte nel settore sono quelle che hanno partecipato a qualche corso di formazione… . è bene tener presente che, in termini di sviluppo psicomotorio, il periodo che va dai cinque ai dodici anni è fondamentale per la futura maturazione delle attitudini sportive.
La Gran Bretagna, poi, e particolarmente l’Inghilterra, è terra d’immigrazione e molte persone appartenenti a gruppi etnici diversi sono ormai parte integrante della popolazione. Ebbene lo sport rappresenta e ha rappresentato uno strumento di integrazione molto potente. Aprendo una breve parentesi e spostandoci sull’altra sponda dell’Atlantico, nella prima metà del secolo scorso, negli Stati Uniti, lo sport era il principale antidoto alla devianza e particolarmente all’uso delle sostanze alcoliche. Esso, poi, era un ingrediente fondamentale del melting pot, funzionando da collante sociale per le diverse nazionalità.
Tornando alla Gran Bretagna, si consideri, adesso, che alcuni popoli sono geneticamente predisposti per specifici sport (pensiamo ai velocisti giamaicani o ai fondisti etiopi) e la squadra britannica ha saputo includere e valorizzare le diverse qualità genetiche degli atleti, potendo ottenere un così grande numero di vittorie olimpiche.
A mio avviso, tuttavia, c’è anche un’altra ragione che spiega i successi britannici ed è che, nello sport funziona una meritocrazia pura (almeno generalmente è così…), che è tipica della mentalità anglosassone. È l’essenza stessa dello sport che esige la meritocrazia, altrimenti viene meno il divertimento che lo anima. Ovviamente gli Inglesi, come noi, non sono esenti da atteggiamenti antisportivi: subito dopo la finale di calcio europea ne abbiamo avuto ampia testimonianza, ma il calcio, in quanto tale, aveva celebrato, con quella partita, uno dei momenti più alti, per impegno, resilienza e partecipazione agonistica. Lo sport si regge, nonostante gli scandali e la corruzione, perché la sua anima meritocratica rimane integra. Non conta che Maradona provenga da una famiglia argentina di umili origini, ma che egli ci ammali con la sua incantevole e saettante destrezza. Ebbene ho la sensazione che la differenza di fondo tra noi e i Britannici sia proprio questa: lo sport, nel mondo anglosassone, trova un terreno fertile, perché la visione meritocratica che lo caratterizza affonda le sue radici nelle convinzioni profonde e diffuse dell’intera società. Da lì promana la fiducia nello sport, che ne ha consentito lo slancio verso i 15 ori.
Roger Abravanel ha scritto un bellissimo articolo sugli europei di calcio (Corsera), dove esamina il rilancio della nostra nazionale, reduce dal precedente “disastro” dell’esclusione dal Mondiale. Tale rilancio è passato per un progetto basato sul rischio e sull’innovazione (per esempio, attaccare e non difendere). Mancini, inoltre, ha saputo selezionare talenti e metterli al posto giusto, confidando su alcuni “anziani sicuri” (Bonucci e Chiellini ) e puntando su giovani poco noti (Pessina e Locatelli). Lo stesso Mancini è il risultato di una selezione e non godeva certo di particolari privilegi.
Siamo stati molto bravi – conclude Abravanel – e abbiamo adottato quei criteri meritocratici, rispetto ai quali, invece, siamo diffidenti se non ostili in altri ambiti (scuola, università, aziende…).
Forse è questa la differenza essenziale tra il nostro medagliere e quello britannico.
Se si parla di mondo anglosassone il discorso dovrebbe essere ampiato quantomeno ai meritocraticissimi USA e allora statisticamente ( in rapporto alla popolazione e ai mega finanziamenti per lo sport) le attuali loro 99 medaglie contro le nostre 38 sono un fallimento. Invece le piccole (come abitanti) Australia e Nuova Zelanda hanno in proporzione performances eccezionali. Ma l’articolo sembra mirato sugli anglosassoni intesi come inglesi.
Nello sport è difficilissimo prescindere dalla meritocrazia, non si possono vincere i 100 m perché raccomandati o figli di.
La meritocrazia inglese mi risulta basata su questo meccanismo: i finanziamenti si danno ai settori sportivi che vincono medaglie e si riducono a chi non le vince.
In termini di medaglie la “storia” sembra aver funzionato, perché questo sistema le ha incrementate, anche se mi sembra che siano in ribasso rispetto alle Olimpiadi di Londra e Rio. Il problema è che ci sono settori sportivi molto in crisi di risultati che non riescono a emergere anche perché per questo poco finanziati. Basta vedere tutti gli sport di squadra dove rararmente gli inglesi sono al top.
Il problema si riflette su questo: bisogna privilegiare, anche coi finanziamenti, lo sport di massa o gli sport che possono portare medaglie? E forse anche questa è un’esposizione schematica nella misura in cui la vincita di medaglie può incrementare l’interesse e la pratica per quel tipo di sport medagliato.
Ma insomma, a A. Artini piace la meritocrazia ( a chi, di base, non piace?) e tutto fa brodo per portarvi acqua al mulino, anche le medaglie inglesi.
E piacciono (forse un po’ troppo?) tutti i “guru” mainstream della sociologia e affini….Ricolfi…Abravanel…
Io non condivido tutto dell’articolo di Abravanel citato, per l’appunto l’analisi dell’Italia e gli Europei mi sembra “piaciona” e forzata a sostenere il discorso ( in linea generale anche condivisibile) sul paese senza meritocrazia. Di calcio mi sembra che Abravanel mastichi poco. La scelta dell’allenatore della nazionale non mi sembra essere mai stata fatta a prescindere dalla meritocrazia, abbiamo avuto più o meno sempre buoni CT. Ventura ha fallito, ma non era certo stata una scelta conformista o basata su privilegi, aveva un ottimo curriculum, aveva fatto rendere le sue squadre in genere sempre oltre le aspettative e tatticamente aveva un’originalità che purtroppo non è riuscito a far rendere con la Nazionale.
La storia dell’attaccare e difendere mi sembra un bluff. L’attenzione alla difesa è stata sempre un marchio della nazionale che ha reso e che ha prodotto di continuo i migliori difensori del mondo. Ma l’Italia non ha mai vinto i suoi titoli col catenaccio, li ha vinti quando è riuscita anche a garantirsi un buon gioco davanti. Mancini è stato bravissimo, nel manifestare ambizione, nel crederci e nel convincere i giocatori ( in gran parte gli stessi di Ventura) che potevano trasformarsi da perdenti in vincitori. Ma non è che ha inventato lui il “falso nueve” o il “tiki taka”, che ha sposato ma con originalità. Ha creato una squadra molto malleabile e sempre con una gran difesa.
Non c’e’ niente di strano nell’utilizzo( non molto continuo) di Locatelli e Pessina, che avevano fatto un bel campionato, semmai lo spirito “rivoluzionario” Mancini lo dimostrò quando convocò Zaniolo che non aveva neanche fatto ancora una partita in A .
Articolo scritto molto bene, ma io non sono convinto che lo sport sia un potente strumento d’integrazione, anzi spesso è proprio il contrario.
Prendo atto, con un certo dispiacere, che hanno un medagliere più grande.
Ma sono così supponenti e antipatici con quel modo di fare che oltre a non invidiarli di loro me ne frego.
In altre parole noi siamo su tutto migliori di loro!