La vita è piena di intoppi, ma non tornare a casa per un infortunio sul lavoro è oltremodo impensabile.
Gli ultimi giorni sono stati davvero drammatici con un numero di morti sul lavoro impressionante e doloroso. Bravo Draghi per aver aperto la sua conferenza stampa con questo tema.
Gli inconvenienti meccanici accadono e possono avere conseguenze drammatiche; lavorare in altezza aggiunge incertezza; si potrebbe continuare così per ogni tipologia di lavoro parlando anche delle insidie dei gas tecnici per cui -da Arezzo stessa- 3 anni fa abbiamo scoperto che la morte può riguardare anche impiegati, non soltanto operai.
Ma che cambia quando una famiglia sperimenta un tale disastro ed il conseguente vuoto?
Nelle fabbriche orafe sono ricorrenti il rischio di schiacciamento, l’avvelenamento da gas, l’ustione; ad essi si aggiunga il rischio folgorazione o di caduta che riguarda anche impiegati; rischi più infidi vengono dalle polveri o da sostanze chimiche. Tutte le aziende nelle quali ho lavorato erano impegnate sul piano della prevenzione, non credo di essere stato soltanto fortunato piuttosto penso a attenzione naturale; e quando è toccato a me occuparsi di questi temi ho riversato lo stesso impegno, ma può non bastare. Capitò il caso in cui un operaio si schiacciò un dito. Niente di drammatico, ma certo una situazione difficile con l’operaio bloccato alla macchina: chiamammo il 118 ed i vigili del fuoco. In qualche minuto lo separarono dall’utensile e iniziarono le cure che proseguirono all’ospedale con la steccatura. Era ancora in ambulanza che è già qualche organo di informazione aretino batteva la notizia di grave incidente sul lavoro, ma questa è altra storia. Subimmo la doverosa indagine degli appositi dipartimenti, alla fine eravamo colpevoli d’una carenza burocatica con ammenda da 150€. Pagammo il biglietto (come viene chiamato il costo d’una qualunque ispezione pur priva di significativi rilievi) domandandosi come quel codicillo aumentasse la sicurezza sul lavoro.
In verità non avevamo responsabilità, fu la manovra rischiosa da parte dell’operaio il quale non voleva arrecare disagi alla catena di produzione. Per certi aspetti da dargli un bacio, per altri aspetti da prendere a scapaccioni.
Temo questa sia una situazione estremamente diffusa, la superficialità nell’esaminare l’impatto delle azioni lavorative, che specialmente in ambito autonomo può avere conseguenze drammatiche. In tutti i casi in cui lavori in solitario ti esponi con maggiore facilità a rischi gratuiti.
La formazione agli operatori spesso viene vissuta dagli stessi con fastidio, sufficienza (e la classica battuta “sono vent’anni che faccio questo lavoro, ma che vuoi insegnare a me?”). I più giovani, più abituati ai banchi di scuola, sarebbero più malleabili, tuttavia mancano completamente di conoscenza di base. Per capirsi non saprebbero rimettere la catena alla bicicletta, sapessero andare in bicicletta. Esagero e parlo su esperienze di 15 anni fa, ma certo il funzionamento di tantissimi apparati della loro vita quotidiana gli è ignoto e con esso i rischi connessi.
Forse sarebbe uno dei tanti ulteriori incarichi da affidare alla scuola. Perché la vita è piena di intoppi, anche in casa, anche con un filo elettrico scoperto.
Gli incidenti sul lavoro sono sempre successi con esiti più o meno gravi, fa parte della quota di rischio che appartiene ad ogni azione e alla vita in generale, basta poco: una leggerezza individuale, la sottovalutazione dovuta all’abitudine, un evento fortuito, ecc.
Quando sono indotti dalla preoccupazione di concentrare tutta la produttività sulla compressione della forza lavoro allora si dovrebbe parlare dell’esito di un’azione criminale (tipo macchine manomesse ad arte, turni massacranti, autisti costretti a decine di ore di guida marchiate dall’ansia del ritardo, ecc.). In questo caso è una strage di “sistema” e va chiamata con il suo nome. Quanti sono i morti e feriti per comportamenti volti a non arrecare disagi alla catena di produzione di questi tempi (non volevano/potevano fare altro, pena scapaccioni e stipendi volatilizzati)?
Non credo che poi interessino bacioni, mentre se si levasse pure qualche mano su loro (anche in certi discorsi alla memoria) sarebbe il caso di sbattere in una pressa il proprietario di quell’arto, senza perdere di vista il contesto che lo ha generato.
non conosco in quale ambito lavorativo lei abbia esperienza, ma dalle sue parole risulta si sia trovato ove la “strage di sistema” è metodo. esperienza quindi diversa dalla mia. ce ne parli, grazie.
Proprio ieri è saltato da 10 metri un operaio per cedimento della struttura che lo doveva sostenere, ma sarà stata una sua distrazione.
Dall’inizio dell’anno sono morte 772 persone sul lavoro e si tira in ballo la capacità di rimettere la catena della bicicletta, di più: dovrebbe provvedere la scuola ad insegnare a non prendere la scossa.
Adesso parla di metodo quando non ho accennato a niente del genere, mi riferivo alle condizioni poste alla produzione in molti segmenti produttivi.
Poi, forse per carenza di altri argomenti, tira in ballo esperienze lavorative a confronto ed accenna ad un episodio di 15 anni fa, quando le condizioni del lavoro erano diverse, rispetto ad oggi è già anticaglia.
Se si tratta di esporre esperienze personali, tra l’altro lontane nel tempo, non si fanno articoli con ambizioni “generali”.
E poi? Dalla sua esperienza avrà tratto delle conclusioni, dalla mia altre e non intendo parlarne (avrei visto da vicino diverse morti premature sospette, ma importa poco).
In tutto l’intervento si concede un po’ di compassione, da prassi misericordiosa, per il resto si esclude tutto quello che non sia frutto di negligenze del singolo lavoratore, la formazione non va perché gli interessati non aderiscono con fervore, la formazione stessa spetterebbe alla scuola.
Mischiare la scossa che si prende al proprio domicilio con la triturazione in orditoi truccati è vile e basta.
Ripeto la domanda:
“Quanti sono i morti e feriti per comportamenti volti a non arrecare disagi alla catena di produzione di questi tempi (non volevano/potevano fare altro, pena scapaccioni e stipendi volatilizzati)?”
E’ in grado di parlarci di questo? Altrimenti poteva fare a meno di un intervento che sembra soltanto volto a sviare l’attenzione dalle responsabilità di qualche categoria che le sta a cuore, forse quella che un tempo le permetteva di tirare “scapaccioni”.
io rispondo alla sua: non so.
lei abbia la cortesia di rispondere alla mia.
per il resto a scuola evidentemente hanno tanti problemi.
Ho già detto che non intendo parlarne e non ho cortesie da rendere. La distinzione che mi interessava fare l’ho espressa nelle prime righe del primo intervento. Se non sa, perché scrivere un articolo dove si confondono diti schiacciati 15 anni fa, catene di bici da cambiare, incidenti domestici, ecc.? Un articolo dove, nel titolo, si scrive “bollettino di guerra”, mentre nei commenti non si dovrebbe poi accennare a “stragi” (nelle guerre ci sono stragi, così, nel caso sfuggisse l’associazione).
Altri suoi interventi li ho graditi, su altri non ho trovato niente da ridire; questo, secondo me, è una schifezza ipocrita.
I problemi li hanno a scuola quanto all’università e tentare di scaricare su loro qualche responsabilità circa la sicurezza nel lavoro è, secondo me, ridicolo quanto opportunistico.
La prenda come vuole. Per il resto quando gradirò quel che scrive non avrò problemi a manifestarlo, specialmente, come mi capita, in forma di replica ad altri che la criticheranno.
Anzi no, mi devo correggere, da lunedì non infastidisco più per necessità (devo averlo già scritto qui in qualche altro commento) e quindi approfitto per salutare e augurare un buon futuro a lei, agli altri commentatori ed opinionisti.
Augurio rafforzato per il Direttore che ha pazientemente accolto anche le considerazioni più “antipatiche” e “partigiane” di uno sconosciuto.
”
da lunedì non infastidisco più per necessità” non ricordo d’averne letto e non so neanche come esprimermi, i miei pezzi suscitano commenti e “perdere” altri punti di vista mi dispiace, spero solo sia temporaneo e per piacere personale… mi dispiace non abbia concesso a me (e a lei) il dubbio di non aver compreso. fra l’altro è l’unico su centinaia a leggervi una posizione che non è quella corretta. a parte le impuntature di carattere ideologico (di quelli che rifiutano la storia), per le altre si può almeno giungere ad un giudizio non offuscato da incomprensioni. bonne chance!
L’avevo accennato nel commento ad un intervento del Presidente dell’ Istituto Tecnico Industriale sugli arrabbiati del web, mi sembra del 10 o 11 settembre. Non è piacevole ma nemmeno da stracciarsi le vesti, fa parte della vita di tutti.
L’ideologia, secondo me, viene denigrata troppo e da troppi anni, “le idee non cascano dal cielo” e l’interazione con l’ambiente, a partire dal proprio individuale, forma pensieri, giudizi, valutazioni: il rischio risiede nella loro cristallizzazione, a quel punto l’ideologia come processo non è più e si impone un totem, un idolo: “La vita non vive”. E’ una condizione comune e mi rendo conto, a volte, quando tocca a me.
Il fanatico rifiuta la storia per custodire l’idolo, l’opportunista la manipola in modo da rendersela “conveniente”, per questioni politiche o perché, più innocentemente, si sente in qualche modo confermato e tranquillizzato nella sua “ideologia”, in questo caso non è già più un opportunista.
La storia non si rifiuta, ma, per alcuni, uscire dalla sua conoscenza, parziale o meno che sia, con un’impressione spiacevole e, per così dire, fatalista è inevitabile. Ad uno stato d’animo del genere può arrivare anche il più rigoroso e algido dei professionisti nell’ambito.
Non è il caso di tornare sull’articolo, possibile che l’abbia interpretato male o sia più sensibile su questi argomenti rispetto ad altri, un’impuntatura come tante.
Saluti
ho trovato questo, ma è criptico.. “E poi, per quanto mi può riguardare, un po’ di pazienza. Il 3 ottobre scade il tempo per forza, poi basta.”