D’ora in poi parleranno anche di helicopter-money; l’ho sentito per la prima volta, far piovere soldi (anche se non è chiaro quanti, come, a chi -nucleo familiare, singolo..).
Tutti d’accordo su immettere tanta liquidità. Dalla teoria alla pratica. Dai sogni alla realtà. Anch’io volevo nascere ricco e bello. Poi …..
Da dove: da BCE se euro, derivanti da emissioni senza sostegno (pura stampa di cartamoneta) o sostenuti da titoli (nazionali, si aggiungerebbero al debito pubblico, o trans-nazionali, bond garantiti dal sistema Bce); altre o nuove valute (compresa, se fosse possibile per le norme europee, una valuta accessoria -doppia circolazione tipo AM-lire del 1944/ 1950, state lontano da qualunque informazione web su questo tema).
Proposte di bond ove non prevedere la restituzione del capitale, ma il pagamento dei soli interessi. Una proposta accattivante che non riesco a cogliere nella sua interezza.
Se sono euro semplicemente stampati restano sempre e comunque soldi nostri; di altri se nascono su investimenti privati (proprio da quei sudici individui che si sono arricchiti non per merito, ma per posizioni dominanti o favori); euro o coronabond finanziati solo dagli stati, ma già qualcuno -fra cui la Germania- ha detto che non vuole contribuire a tenere in piedi economie difettate come quella italiana. E ci sono anche gli amici dei sovranisti italici a pensarla così, verrebbe da suggerire a questi di trasferirsi nei paesi Visegrad e nordeuropei. Non credo li accoglierebbero, comunque prima facciamoci rendere quello che hanno rubato a tutti noi.
Arrivemo ad un euro di serie B con stati di serie B? Probabile.
Una cosa giusta detta da Zangrillo, uno che non mi elettrizza, uomo del Berlusca; da medico terapia intensiva vale molto -molto- più di me, da “politico” ora devo dargli altre chances: qualunque cifra spendiamo ora per combattere il virus sarà minore (molto meno) del costo, dei danni che deriveranno dal virus. Agire contro il virus e le spinte che vogliono gli operai in fabbrica è denaro davvero ben speso, dobbiamo sostenere tutti per evitare che il bisogno li inviti a cercare di guadagnare qualcosa.
Io non mi fido del capitalismo italiano (penso agli Agnelli, gente che si è enormemente, anzi scandalosamente, arricchita col duce e colla repubbica). Imprenditori ignoranti; spesso grandi lavoratori, ma incapaci di vedere lontano. In troppi casi a scapito dello Stato e dei lavoratori (non sono comunista, ma Eternit o acciaierie Taranto si spiegano da soli e non sono casi isolati). Lavoratori che hanno creduto ai sindacati anche quando queste sigle andavano prese a sputi (hanno permesso, anzi collaborato a sostenere, baracconi come Alitalia). Ma almeno il lavoratore è -placidamente- più ignorante dell’imprenditore, nessuno si è mai spacciato per capiscione.
Avere due soldi, magari fatti evadendo imposte e norme, rende automaticamente intelligenti. Pensate a Briatore. Lo intervistano tutt’oggi. Geometra scienziato; socio della Santanchè. Questi sono apprezzati modelli italiani, con Totti e Ferragni. Genitori di Nathan Falco, Chanel e Leone. Una massa che confonde Oscar (premio del cinema) con Nobel (quelli seri, non quelli della pace, intendo il premio alla scienza), ma non sono barzellette.
Purtroppo il momento offre a finanzieri e banchieri maggiori opportunità di spingere la propria visione. Tipi loschi e molto spesso pericolosi, tirano acqua al mulino dei loro ricchissimi amici. In altri tempi c’era Amintore, professore di economia politica: democristiano e baciapile, ma almeno (cazzo) ne capiva! E sapere che ora sarà Giggino ‘o bibitaro a parlare per il popolo mi getta nello sconforto. O Salvini o Meloni, nulla cambia. Capipopolo, amanti di padrePio o del presepe, non scienziati. Schiavi di lerci interessi.
Ma quali opportunità si presenterebbero, dopo la tempesta col suo tremendo carico di lutti e fatiche.
Un mondo dal consumo consapevole. Ove conta il merito. La solidarietà.
Eliminare la burocrazia e gli azzeccagarbugli (da Manzoni in epoca di peste..), figure che vivono e speculano sulla fatica altrui.
Via aziende e nazioni che fanno a gara per derubare i loro clienti e cittadini: Apple ed le imposte in UE, aggirate in Irlanda, come esempio pesante. Fiat, poi Fca, da Torino all’Olanda. Amazon che paga una miseria di tasse in Italia ed i finanzieri (GdF) massacrano i bar per gli scontrini dei caffè.
Domande da affrontare senza sciocchi slogan. Tipo i migranti, su cui questo paese si dovrà confrontare: li cacciamo? Bene, chi raccoglie i pomodori (ma non ad 1 euro la cassa, sennò arricchiamo la criminalità)? Chi pensa ai nostri anziani? Chi lavora per ripartire e pagare le nostre pensioni?
Li vogliamo? Quanti, come, dove. Con quale rispetto ed integrazione verso le nostre tradizioni e valori (sempre che ne esista ancora qualcuno).
Temo che non miglioreremo di ‘n ticchia.
La criminalità non ha interesse ad una nostra evoluzione sociale e civile, si ridurrebbero gli spazi per comportamenti scorretti o eticamente inaccettabili.
Pensate alle amministrazioni locali, consulenze gonfiate, favori agli amici, pubblicità elettorale a spese dei cittadini: Arezzo ai tempi di Ghinelli, ma anche Roma ai tempi della Raggi, potrei fornire tanti esempi del passato (scabrosi per quelli che adesso incomprensibilmente tacciono).
Ma chi se li cava dai coglioni? Per sostituirli con chi?
Guccini ha scritto che nel dopoguerra la voglia di ballare faceva luce.
Sono sicuro che tantissimi vedranno la nuova alba, se sarà una giornata di sole o pioggia lo devono decidere colla loro testa.
Spero faccia luce, come nel 1945.
Finito, per ora: in bocca al lupo e fate i bravi.
Andiamo
https://www.huffingtonpost.it/entry/romano-prodi-il-consiglio-ue-di-ieri-e-stato-terribile-come-sempre-olanda-attacca-e-germania-segue_it_5e7e2af2c5b6256a7a29a38e
Io sono convinto che Grillo e Salvini ci credano alle balle che propinano considerando l’ignoranza di cui sono imbevuti. Inoltre è tipicamente umano biasimare qualche agente esterno (la UE, la Merkel, i banchieri, gli alieni) dei propri fallimenti.
Prevedibile come un temporale estivo, puntuale come un bonus pre-elettorale del governo Renzi, scontato come una discussione sulla nuova legge elettorale: “la vera causa del debito pubblico italiano è il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro”, continuano a ripetere in molti, troppi. Siccome inizia a comparire anche sulla bocca di parte della cosidetta “classe dirigente”, merita ribadire dettagliatamente che di solenne idiozia si tratta. Il ritorno ad un deficit dello stato finanziato direttamente attraverso l’emissione di moneta sarebbe pura follia.
Per certi commentatori, anche ospitati da giornali (una volta) autorevoli, le cause del declino italiano sono sempre da cercare in shock esterni, ossia fra eventi esogeni alle ed indipendenti dalle politiche economiche adottate in questo paese. Come se l’Italia, Calimero del mondo, sia inevitabilmente e ineluttabilmente colpita da sfiga eterna.
Esiste però una eccezione a questa regola: nel mondo degli economisti da talk-show l’unica azione di politica economica italiana che abbia avuto, a loro avviso, un qualche effetto negativo sulle sorti del paese è il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, avvenuto a metà del 1981 e voluto, soprattutto, da Ciampi ed Andreatta. La colpa dell’esplosione del debito pubblico, a sentire costoro, sta tutta in quella sciagurata decisione …
Facile, no? È sufficiente osservare l’evoluzione del rapporto debito/pil e diventa automatico correlare l’aumento del debito – a causa dell’aumento della spesa per il suo servizio – all’indipendenza di via Nazionale. Non proprio. Anzitutto perché il rapporto debito/PIL era, comunque, passato da meno del 40% a più del 60% nei 12 anni precedenti al tanto vituperato divorzio. Il trend s’impenna, certamente, ma, al più, è la differenza nel trend che va studiata: alquanto positvo lo era già. Su questo ritorneremo in seguito.
Ma perché Andreatta e Ciampi arrivarono a questa decisione così dirompente che costò anche una crisi di governo a seguito della famosa lite delle comari col ministro delle finanze Formica? Poiché i fatti, in economia come nella vita, sono concatenati, non si può prescindere dalla situazione in cui versavano i conti pubblici italiani e non alla fine degli anni ’70. Senza dilungarsi basta ricordare lo shock petrolifero, la scala mobile, l’inflazione fuori controllo. Con la riforma del ’75 la Banca d’Italia si era impegnata ad acquistare gli stock di debito invenduti, consegnando di fatto le politiche monetarie al governo. Giusto in quegli anni gli altri paesi europei stavano prendendo decisioni opposte: è del 1973, per esempio, il “divorzio” francese; la Bundesbank era nata indipendente. Disse David Ricardo che “è sommamente pericoloso quando un governo controlla la quantità di moneta”.
La tentazione di monetizzare il disavanzo di bilancio era troppo forte e aveva portato l’inflazione oltre il 20%. Soprattutto, la possibilità di monetizzare il disavanzo aveva permesso ai vari governi di centro-sinistra di spendere e spandere senza dover render conto: i deficit annuali viaggiavano al 5-6% del PIL La necessità di contenere l’inflazione e ancorare il valore della lira si era già palesato con l’adesione allo SME e con le Considerazioni Finali del 1981 del Governatore Ciampi, in cui si faceva esplicito riferimento alla necessità di adottare una costituzione monetaria fondata su 3 pilastri:
1) indipendenza della creazione di moneta da chi determina la spesa pubblica;
2) rispetto del vincolo di bilancio (che non è un’invenzione della UE e del Fiscal Compact);
3) salari coerenti con la stabilità dei prezzi.
Per fare tutto ciò il punto 1) era fondamentale. I tassi di rendimento dei titoli di stato avevano sofferto nei periodi di improvviso surriscaldamento dell’inflazione, restituendo saggi reali negativi. Trovare i dati su tassi del debito non è facile (dovrei andare a prendere i bollettini di Bankitalia uno ad uno) e i big data OECD partono dal 1990, perciò riporto un grafico estratto da uno studio realizzato da John E. Floyd dell’Università di Toronto, passatomi da Alberto Lusiani (qui l’articolo completo).
Dopo la scelta del 1981, i tassi nominali presero ad essere correlati all’inflazione; più alti dell’inflazione stessa (come è da aspettarsi: il pubblico se presta vuole guadagnarci qualcosa), ma anche più coerenti al valore della moneta in cui erano emessi e all’economia sottostante. Vale la pena notare che la crescita dei tassi nominali era già in atto al momento del divorzio: i risparmiatori, che stavano fuggendo dal debito pubblico italiano, chiedevano tassi nominali maggiori per compensare la maggiore inflazione. L’impennata del 1981/82 segue quella del 1980.
Da un lato un’inflazione alta ed estremamente variabie tra la metà degli anni ’70 ed il 1982 circa. Da quella data, ossia subito dopo il divorzio, l’inflazione inizia a calare. Ma il dato più rilevante è quello dei tassi reali, che si ottengono facendo la differenza fra nominali ed inflazione. Sino al divorzio sono negativi: la Banca d’Italia, acquistando il debito emesso dallo stato e non sottoscritto dal pubblico mantiene tassi nominali bassi ma crea inflazione. Questo genera rendimenti negativi sia sul nuovo debito che su quello in essere e rende non conveniente investire in debito dello stato italiano; questo riduce ulteriormente la domanda del pubblico per il debito statale ed aumentando l’inflazione. In risposta a questa espropriazione i risparmiatori italiani già stavano iniziando a domandare tassi nominali maggiori come sulle nuove emissioni ed avrebbero ovviamente continuato a farlo.
Questo processo stava dando luogo ad una spirale pericolosa perché avrebbe portato alla monetizzazione totale del nuovo debito (se nessun privato è disposto a prestare allo stato e lo stato continua a fare deficit la banca centrale è costretta a finanziare tale deficit emettendo moneta) ed alla “confisca” (via inflazione) del debito in essere, ossia dei risparmi di quei privati che avevano precedentemente acquistato debito a lunga scadenza dello stato italiano quando inflazione e tassi nominali erano bassi. Un tasso d’inflazione al 20%, per un anno, quando il tuo tasso d’interesse nominale è al 5% vuol dire che il 15% del valore reale dei tuoi risparmi, prestati allo stato, è sparito e non ci hai guadagnato nulla. Se la cosa dura qualche anno la tua ricchezza va in fumo.
Non solo i risparmiatori che comprano debito pubblico sono cittadini (e s’incazzano quando li tassi brutalmente e di nascosto via inflazione) ma, soprattutto, sono risparmiatori: il 20% del valore reale dei loro risparmi glielo freghi una volta, non due. Se l’alta inflazione con tassi nominali bassi fosse continuata i risparmiatori italiani sarebbero scappati all’estero con i propri soldi, cosa che infatti stavano già facendo. La fuga dai conti correnti e dal debito pubblico non è una bella cosa oggi e lo era ancor meno nel 1980. Se la monetizzazione del debito pubblico fosse continuata, l’alta inflazione ed i tassi reali negativi che generava avrebbero portato ad una fuga massiccia del risparmio dall’Italia. Per questa ragione anche l’Italia separò la Banca Centrale dal Tesoro lasciando che fosse il mercato (ossia l’offerta di risparmio da parte del pubblico) a determinare i tassi nominali sul nuovo debito statale e permettendo alla Banca d’Italia di fermare l’espansione della massa monetaria che aveva l’unico effetto di generare inflazione e far fuggire i risparmi nazionali. Il divorzio andava fatto, l’alternativa non era una pacifica vita coniugale ma il crollo della casa famigliare per la fuga del risparmio privato dal debito statale e dai conti correnti.
Piccolo cadeau polemico: oggi i tassi nominali dei BOT sono negativi; se l’assunto di chi contesta il divorzio fosse vero e fedele ad un modello superfisso applicato alla moneta, non ci dovrebbe essere tasso negativo e la spesa per interessi dovrebbe continuare ad essere elevata aumentando ulteriormente il debito. Invece la spesa per interessi, la più improduttiva per definizione, continua a scendere nonostante i conti delle amministrazioni pubbliche non godano esattamente di buona salute.
Dunque, se è vero che la crescita elevata dei tassi reali dopo il 1981 contribuì all’aumento della spesa per interessi in rapporto al PIL (vedremo in un momento di quanto), è altresì vero che questo permise di ridurre drasticamente l’inflazione e i suoi effetti sui salari reali. Soprattutto, questo permise di bloccare la fuga dei risparmi degli italiani dall’Italia e far arrivare gli investimenti esteri. Primum vivere.
Ma veniamo, brevemente, alla domanda residuale: quale fu il prezzo pagato per tale sopravvivenza? Detto altrimenti, è davvero vero che la politica fiscale post 1981 fu “virtuosa” e che i deficit (che generarono l’aumento del rapporto debito/PIL) furono dovuti interamente all’aumento dei tassi nominali sul debito? Un costo ovviamente ci fu ma pretendere che, senza l’aumento del tasso reale, il rapporto debito/PIL non sarebbe cresciuto è semplicemente falso. Il deficit primario (ossia: al netto degli interessi) non diminuì né scomparse post 1981 ma continuò invece a crescere tranquillamente sino al … 1992, anno della famigerata crisi che (finalmente ma troppo tardi) costrinse ad ulteriori drammatiche misure. Infatti il saldo per interessi (ossia la spesa per interessi sul debito pubblico) passa in quei 10 anni da circa 10mila (1981) a circa 83mila (1991) mentre il deficit complessivo passa da circa 26mila (1981) a circa 87mila (1991). Questo implica che si continuò per dieci anni a fare deficit primari anche dopo il divorzio: sempre minori, vero, ma sempre deficit furono.
Ovviamente, cosa che troppi scordano, quando fai deficit aumenti lo stock di debito QUINDI causi un aumento della spesa per interessi! Far finta che gli interessi pagati nel 1990 (per dire) fossero solo “causati” dal “cattivo divorzio” e non soprattutto dai deficit primari accumulati sino ad allora vuol solo dire che o ben si è in malafede o ben non si capisce un acca del tema. Quando fai debito ti stai impegnando a pagare interessi sino all’estinzione del medesimo e se non lo estingui mai (come nel nostro caso) gli interessi dovrai pagarli per sempre!
È importante anche sottolineare che in quegli anni il PIL nominale cresceva e la logica economica più elementare avrebbe implicato che si facessero surplus primari sostanziali (per ridurre il debito, come bisogna fare in periodi di crescita). Invece si continuò a spendere e spandere nonostante il vincolo di finanza pubblica diventasse sempre più stringente ed i tassi reali aumentassero: la drammatica crisi del 1992 non arrivò per caso!
In sostanza: il divorzio salvò l’Italia da una bancarotta imminente visto che il risparmio stava comunque fuggendo (a causa dei tassi reali negativi) ed i tassi reali sul debito stavano comunque crescendo da PRIMA del divorzio. Poiché, purtroppo, la politica fiscale dell’era Craxi rimase irresponsabile, il deficit primario avrebbe comunque continuato ad aumentare il rapporto debito/PIL. Nella “migliore” (si fa per dire) delle ipotesi il debito avrebbe comunque superato l’80-90% del PIL nel 1991!
Ma questo calcolo fa il conto senza l’oste: da un lato, i tassi reali già avevano iniziato a crescere e sarebbero comunque cresciuti – di quanto non lo sappiamo ma preferiamo non si sia tentato l’esperimento – anche in assenza di divorzio. Dall’altro lato, in assenza di quel minimo di disciplina che la non completa monetizzazione del debito da parte della Banca d’Italia indusse (non completa perché la Banca d’Italia continuò a monetizzare parzialmente sino al 1994, cercando di calmierare i tassi nominali con acquisti discrezionali senza far ripartire l’inflazione), avremmo probabilmente assistito ad una continuazione della politica di spesa folle => monetizzazione => inflazione => fuga del risparmio, che aveva caratterizzato gli anni precedenti al divorzio. Una spirale di questo tipo non tarda un decennio a trasformare un paese nell’Argentina, lo fa in un biennio o poco più!
Se quel minimo di credibilità che tale scelta generò è poi stata messa in gioco dopo, lo si deve alle (non)scelte di politica economica attuate dai governi. Quello che si ottenne con lo stop agli acquisti automatici fu una diversa percezione del fabbisogno (che meriterebbe un post dedicato) finanziato dal mercato senza eccessiva creazione di base monetaria.
In conclusione, fu il “maledetto divorzio” a far drammaticamente aumentare i tassi reali sul debito pubblico e quindi, per effetto valanga, a generare l’enorme stock di debito che dal 1992 domina il dibattito fiscale italiano? No: il debito aveva iniziato a crescere drammaticamente almeno 12 anni prima e lo stava facendo, a causa di deficit primari sostanziali ed ingiustificati, quando il divorzio venne messo in atto. Il divorzio fu una misura difensiva: frenò la fuga del risparmio e permise di mettere sotto controllo l’inflazione italiana. Inoltre, servì da freno, seppur parziale, alle politiche spendi e spandi dell’era Craxi: senza divorzio avrebbero speso di più, avrebbero cercato follemente di monetizzare un deficit ed un debito crescente generando sempre più alta inflazione e fuga del risparmio privato dal paese. Senza divorzio, insomma, il sentiero argentino avrebbe avuto molta maggiore probabilità d’essere intrapreso.
Il divorzio permise di calmierare, parzialmente, il deficit primario e di ristabilire un minimo di fiducia fra i risparmiatori che compravano debito pubblico italiano. Offrì un’opportunità per mettere la situazione sotto controllo, opportunità che non venne utilizzata per scelta politica durante l’era Craxi e quella Berlusconi-Prodi. Si continuò invece con la costante politica del deficit, le riforme non vennero mai avviate, la produttività iniziò a crollare, la burocrazia statale continuò a crescere diventando il mostro attuale che uccide ogni entità minimamente produttiva, la crescita del prodotto interno lordo divenne sempre più debole e discontinua, la spesa pubblica improduttiva venne costantemente alimentata a sfavore di quella per investimenti come lo è anche oggi, 36 anni dopo.
Fu insomma l’ennesima dimostrazione di come in Italia si sprecano con preoccupante puntualità le occasioni per mettere in ordine i conti pubblici, in una perenne impreparazione a sfruttare cicli economici, politiche monetarie (anche esogene) favorevoli, avanzo primario eccetera.
C’e’ da chiedersi, un esempio che abbiamo fatto già tante volte, perché il crollo dell’onere del debito dopo l’introduzione dell’Euro, con diminuzione di quasi 4 punti dei tassi medi in soli due esercizi fra il 1996 e il 1998, non abbia generato una corrispondente diminuzione del rapporto debito/PIL.
Lo hai scritto tu o hai copiato un articolo?
Senza una garanzia EU i tassi a cui i mercati ci concederebbero questo credito sarebbero cosi’ elevati da non essere sostenibili senza una crescita sostenuta – che il paese da venti anni dimostra di non essere in grado di raggiungere.
(Un’altra parentesi per deficienti: I tassi sarebbero elevati perché il paese ha alto debito/Pil e bassa crescita – cioè è a elevato rischio default – e soprattutto perché è popolato da politici irresponsabili sostenuti da un mucchio di deficienti in corsa verso il default).
Gli EuroBond sono necessari – ma sono necessarie anche le condizioni. Senza condizioni i) non lo ripagheremmo e questo lo sanno anche i paesi EU cui chiediamo di garantirlo; ii) la politica economica del paese sarebbe sempre più irresponsabile e questo fa male al paese.
Gli EuroBond, anche con condizioni ragionevoli, non sono sufficienti:
1. Perché un terzo del paese è disposto a mandare tutto all’aria (leggi non rispettare le condizioni fino ad uscire dall’Euro) e questo lo sanno anche i paesi EU cui chiediamo di garantire gli Eurobond.
2. Perché la spesa pubblica che gli Eurobond permetterebbero sarebbe comunque irresponsabile ed inefficiente nel ridurre il costo economico per il paese dell’epidemia.
(Parentesi per chi spera in politiche responsabili durante e/o dopo l’epidemia: Leggete per favore l’intervista del Ministro Provenzano – uno dei “responsabili” – sul Corriere. https://corriere.it/…/coronavirus-provenzano-dovremo… )
contributo pertinente, grazie.