La DAD è un filo sottile, ma pur sempre un filo

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di Alessandro Artini

La strategia del ministro Bianchi sulla scuola è condivisibile. È ragionevole, cioè, che si voglia ripristinare la didattica in presenza, perché essa consente maggiori progressi nell’apprendimento della Dad (Didattica a distanza).

Lo psicologo e pedagogista russo Lev Vygotskij, le cui principali opere furono scritte nei primi decenni del Novecento, aveva individuato nella zona prossimale un contesto fondamentale di sviluppo dell’apprendimento del bambino, che si realizza tramite l’aiuto di altre persone e cioè di altri bambini oppure di adulti come le maestre.

Anche il concetto di “scaffolding” (“impalcatura”), elaborato qualche decennio fa dallo psicologo americano Jerome Bruner, va in questa direzione. Esso indica l’aiuto che una persona offre ad un’altra per favorirla nella risoluzione di un problema. Anche in questo caso, il sostegno, cioè l’“impalcatura”, sembra richiedere la presenza fisica in prossimità sia di chi apprende, sia di chi insegna.

Alcuni studiosi, inoltre, constatano come l’impatto di Internet sulle menti dei bambini e degli adolescenti possa modificare i processi cognitivi. Tra questi ultimi, voglio menzionarne uno italiano, il neurologo Carlo Alberto Mariani, che ci mette in guardia dai possibili danni che derivano dagli eccessi di connessione al web. Nello specifico, la Dad può alterare i processi di apprendimento, non trasformandoli “in esperienza concreta”, mentre “la relativa asocialità deprime fortemente le basi neurologiche dell’imparare, processo improntato sulla necessità di imitazione e di rispecchiamento reciproci, tanto tra insegnante e alunni, quanto degli alunni tra loro, con conseguente sostanziale impoverimento delle risorse cognitive” (Il Sussididario.net).

Se leggiamo gli ultimi dati Invalsi (ovvero dell’Istituto nazionale per la valutazione), relativi alle rilevazioni dello scorso anno, constatiamo un notevole peggioramento circa gli apprendimenti degli alunni italiani ed è inevitabile attribuirlo almeno in parte alla Dad. (Tuttavia, sarebbe opportuno riflettere più attentamente, perché i risultati peggiori si sono avuti proprio in quelle regioni in cui, quando le scuole erano chiuse, l’insegnamento a distanza è stato meno diffuso e costante…).

In passato, ho scritto, su queste stesse pagine, alcuni articoli di forte critica verso la Dad, il cui contenuto ritengo tutt’oggi corretto. Ho l’impressione, tuttavia, che rispetto ad essa si stia scatenando immotivatamente una tempesta. È opportuno non dimenticare che, durante il lockdown, la Dad ha avuto l’indubbio merito di mantenere vivo il rapporto tra docenti e alunni, seppur mediato dagli strumenti informatici. Inoltre, è intervenuta in un contesto dove già accadeva che una parte rilevante della vita dei giovani trascorresse di fronte al monitor dei computer. Essa, da questo punto di vista, non ha fatto altro che accrescere un trend già esistente.

Il tentativo di eradicarla dalla scuola italiana, cui mi pare di assistere adesso, è immotivato ed equivale a quello del Congresso di Vienna di estirpare i semi della rivoluzione francese. La sua eliminazione potrebbe avvenire solo ripristinando la vita pomeridiana dei ragazzi nei cortili e in strada, così com’era per i giovani di 30 o 40 anni. Non a caso la più ferma condanna della Dad viene proprio da quegli insegnanti che hanno vissuto la loro socialità adolescenziale fuori di casa, per i ragazzi calciando il pallone per strada e per le ragazze giocando “a campana”. Quel mondo oggi è improponibile, così come, nel verso storico dei cambiamenti, non si torna nello statu quo ante.

Alla base di tutto, non dimentichiamolo, c’è Internet: Dad e smartworking non sarebbero stati possibili senza di esso. Ma Internet non è lo spettro del demonio! Esso ha consentito anche a milioni di persone di imparare a leggere e scrivere… Un pedagogista indiano, Sugata Mitra, che ha vinto anche una sorta di premio Nobel in quella disciplina, ha raccontato come, con le nuove tecnologie, si attuino forme autogestite di apprendimento. Una delle sue ricerche inizia con il racconto dell’installazione di un PC nel buco del muro di un villaggio, in piena campagna (non a caso la ricerca da lui descritta ha il titolo di “Hole in the Wall”). Quel computer, utilizzato liberamente da chiunque volesse, consentiva a bambini e ragazzi poco scolarizzati di apprendere nuove conoscenze. In molti casi di acquisire le abilità di lettura e scrittura.

Ancora più in generale, Internet garantisce anche la sfera delle nostre libertà: non a caso i regimi dittatoriali, quando gli oppositori si fanno forti, disconnettono i provider (in Cina, c’è il Great Firewall, cioè un sistema di controllo e censura).

Per usare una metafora, nel mare di Internet si perdono molti alunni, che abbandonano la frequenza e alimentano la schiera cospicua di chi non lavora, non partecipa ai processi educativi, né a quelli di apprendistato (i Neet). Una schiera che, in Italia, ammonta al 23,3 % della popolazione tra i 15 e i 29 anni e che rappresenta un primato. Come faremo a recuperare questi giovani, se non cercandoli dove sono e cioè connessi a Internet?

Tornare a scuola in presenza è un obiettivo condivisibile, ma l’espunzione della Dad non lo è. Essa è un filo sottile che non deve crescere oltre modo, ma che va coltivato, perché il recupero della presenza a scuola può avvenire anche attraverso di essa.

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