Per valutare l’intelligenza di un capo è vedere di quali uomini si circonda. (Niccolò Machiavelli)

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di Alessandro Artini

Dunque Mattarella è nuovamente Presidente. Tra le ipotesi prospettate, in questi giorni di plastica dimostrazione dell’insipienza dei politici, mi pareva la meno probabile, per il diniego reiteratamente espresso dall’interessato a una ipotesi di rielezione. Tuttavia, poiché l’analisi e la ricostruzione degli eventi occorsi, nella politica come nella storiografia, richiede di attenersi ai fatti e spiegare ciò che è accaduto, provo a esporre un’ipotesi interpretativa.

A mio parere, il plebiscito a favore di Mattarella, riflette l’inconsistenza della politica e soprattutto dei suoi leader. Sotto la girandola dei tatticismi, non si è avvertito alcun pensiero strategico che rendesse chiara la connessione tra il nome di un qualsiasi candidato e la prospettiva politica che ne avrebbe improntato l’azione. Anzi, qualora la biografia del candidato fosse apparsa troppo legata alle sue precedenti scelte politiche, si è opposto che il nome era divisivo e inadeguato al prestigio della carica. In questo modo, la politica ha subito un ennesimo rovescio, rinnegando sé stessa, come se qualsiasi scelta compiuta, in quanto tale, fosse necessariamente particolaristica.

Soprattutto sono parse inaccettabili le modalità di gestione della vicenda da parte dei politici: troppi tatticismi. Non si è percepito, nei discorsi dei leader, alcun orizzonte strategico, che offrisse alle indicazioni dei nomi un respiro ideale. È apparso chiaro che si stava attuando un gioco di veti reciproci, per invalidare qualsiasi proposta potesse consentire al proponente di attribuirsi il titolo di king maker. La sola questione d’interesse di tutta la politica è stata quella di impedire che qualcuno dello schieramento avverso potesse autoproclamarsi vincitore, assieme al Presidente eletto.

In assenza di un pensiero strategico, che potesse rendere accettabile e onorevole anche una temporanea sconfitta, i leader si sono curati solamente di non apparire perdenti, come se il fatto di non condividere il nome del candidato vincente li avrebbe resi indegni e sconfitti. Questo è il segno che connota la rielezione di Mattarella: nessuno (salvo la Meloni, che però fa il gioco delle parti, stando all’opposizione) può ritenersi sconfitto dall’elezione di Mattarella, che, nel bene e nel male, ha rappresentato l’intero Paese. In altri tempi avremmo detto “Todos caballeros!”.

La cifra dell’elezione di Mattarella è la paura di essere sconfitti, cioè il fatto di non poter far parte della schiera dei vincitori. L’ala protettiva del nome di Mattarella, infatti, è adeguata a coprire tutta l’attuale maggioranza, ma non copre l’assenza di un pensiero strategico sul destino del nostro Paese.

La politica non può essere solamente tattica finalizzata ad evitare le sconfitte, perché il suo esercizio più elevato le rende inevitabili. E non sono le sconfitte a far apparire come “perdente” un politico, ma è la sua assenza di visione, che lo rende costantemente perdente.

Forse la rielezione di Mattarella, personalità degnissima, ha evitato il peggio, che cioè venisse giubilato un uomo come Draghi. Ma non c’è da essere soddisfatti, dacché una tale rielezione si spiega solo con la protezione degli interessi particolaristici di leader “contraffatti”, privi di carisma e di una autentica dedizione al Paese.

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