In attesa di sapere se Apache è colpevole o meno di violenza, un fatto è certo ed è che il suo nome offende gravemente la tradizione italica. Se esistesse un reato di cattivo gusto, esso sarebbe stato commesso. Con l’aggravante della recidiva, se si considerano anche i nomi dei fratelli.
Ma il punto è un altro ed è quello relativo alla creatività inconscia che ha ispirato la scelta dei nomi. Così immaginiamo un padre che da adolescente, affascinato dai film western, a un certo momento improvvisamente rovescia i ruoli e preferisce i “cattivi” indiani (dovremmo dire i nativi americani) ai cowboy “buoni”, anche se invasori e colonizzatori. Già, ma se quello stesso ragazzo, poi, avesse respirato l’aria dell’Impero (tramite i genitori, perché durante la sua infanzia ormai dell’Impero non c’era rimasto nulla), quando si cantava “Faccetta nera” e si professava il mito dell’italianità (Eia Eia Alalà!), stare dalla parte degli indiani era un po’ come porsi, nel Ventennio, a difesa dei beduini libici o delle popolazioni del Corno d’Africa. Non credo che quell’adolescente simpatizzasse con quelle creature “abbronzate” (così avrebbe detto un signore recentemente scomparso), che per di più sono troppo simili agli odierni immigrati clandestini… Eppure, se si sta dalla parte dei vinti, ciò dovrebbe valere a tutto tondo. Analogamente per i vincitori: cowboy o camicie nere che siano. Ma forse il filo della coerenza, nel tumulto dell’inconscio di quel giovane, andrebbe rintracciato altrove.
Be’, facciamo un’ipotesi: dietro quell’immaginario c’è Bonelli, quello intelligente, cioè il disegnatore di Tex Willer. Forse al nostro adolescente la propria immagine allo specchio non poteva non alludere a Mefisto, il nemico di Tex. Sopracciglia e naso son quelli di Mefisto. Così egli ha trovato una qualche valenza estetica per il proprio aspetto. Nell’universo epico di Tex e Kit Carson, infatti, anche Mefisto ha una sua dignità, nonostante rappresenti l’oscuro protagonista della magia nera. Nella contrapposizione tra Bene e Male, anche quest’ultimo possiede una tragica grandezza, seppur negativa. Del resto quel ragazzo, una volta adulto, ha rivelato un straordinaria capacità nel “dire e negare”, nelle asserzioni e nelle successive precisazioni di smentita (si pensi alla banda di musicisti di via Rasella), un’abilità che ha certamente qualcosa di magico.
A questo punto, qualcuno si chiederà cosa c’entri, in quel mondo inconscio, il duce, la cui testa, in effige, impreziosisce l’abitazione di quell’adolescente, ormai adulto e navigato politico. Ebbene, la risposta è evidente, quella è la testa di uno che ha perso lo scalpo, seppur con onore. Mi rendo conto che la spiegazione non è esauriente. Certamente c’è una qualche confusione, perché sono stati i cowboy, nel recente conflitto mondiale, a “scalparlo” e non gli indiani, come sarebbe dovuto accadere secondo la logica di Tex, ma queste sono contraddizioni di poco conto. La realtà è fluida e ci vuol poco a passare da un universo onirico a un altro.
Resta Apache, sulla cui innocenza o colpevolezza si pronunceranno i giudici. Per il momento gli consiglieremmo di suggerire al padre di tacere, perché perdere lo scalpo è senz’altro meno grave di perdere la testa. Aggiungerei che Tex, piuttosto sobrio nelle parole, sparava pallottole e non altro. Rifletta, infine, sul suo nome, che forse può essere cambiato. I figli non sempre sono costretti a pagare le colpe dei padri. E non parlo certo di quelle giudiziarie.