In Italia circolano a metano, oltre un milione di veicoli, il numero più alto a livello europeo e comunque tra i più importanti a livello mondiale, con un consumo consolidato intorno al miliardo di metri cubi di gas.
Da ieri la sorpresa: ad Arezzo un kg di metano costa più di un litro di benzina superando i due euro. Altrove gli aumenti sono più contenuti, arrivando fino ad un massimo di 1.49. Per questo contiamo di assistere ad una rapida stabilizzazione, anche se il prezzo del passato sarà solo un ricordo.
Cosa sta succedendo.
Dal 1° luglio i prezzi del gas metano sono aumentati del 15,3%: l’energia pesa sempre di più sui bilanci delle famiglie e sui conti delle imprese.
Questo non giustifica di sicuro un aumento del 100% del metano per autotrazione
Ma a livello internazionale ancora non si è ben compreso la portata di questi aumenti. Anche solo ipotizzare, come fa la Commissione, che i prezzi debbano aumentare ancora sensibilmente, per incentivare la transizione energetica, dà conto di quanto poco a Bruxelles ci si renda conto delle conseguenze sociali delle sue proposte, che sono invece immediate.
A causa dell’aumento della spesa energetica, il petrolchimico di Ferrara ha annunciato il fermo alla produzione a partire da metà ottobre.
A darne notizia sono le Rsu aziendali e le segreterie territoriali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec, convocate dall’azienda nella giornata di giovedì e che non nascondono la propria grande preoccupazione.
“La direzione – spiegano i sindacati – ha comunicato che il Gruppo ha la necessità di ridurre in Europa il 40% delle produzioni: la vendita dei fertilizzanti nel continente sta comportando significative perdite economiche alla società, la quale ha dichiarato che con questi livelli di marginalità del tutto inaspettati, verranno fermati gli impianti di Ferrara a partire dalla seconda metà del mese di ottobre”. “In questa fase complicata relativa alla crescita del prezzo del metano – spiegano i sindacati – tutti i grossi player dei fertilizzanti (Bayer e Basf ad esempio) stanno procedendo a fermate impiantistiche adducendo le stesse motivazioni”.
I contraccolpi di queste scelte si riverbereranno presto in agricoltura, laddove si prevede una impennata dei prezzi dei prodotti, a cominciare da quello del pane e a cascata di tutti i prodotti agricoli così come dei trasporti.
Alla base dell’impennata l’aumento oltre i 50 euro/tonn dei prezzi della CO2 (raddoppiati rispetto al novembre scorso che riduce la convenienza a produrre elettricità col carbone rendendo conveniente il metano e aumentandone la domanda )
In controtendenza la ‘verde’ Germania, che ha aumentato del 38% l’impiego del carbone nel primo semestre dell’anno e va espandendo la capacità produttiva delle sue miniere a cielo aperto.
Il prezzo del carbone sta così salendo alle stelle, dimostrando che la transizione verde è molto più complicata di una certa narrazione olistica ed edulcorata: un batter d’ali in Asia si riverbera in poche ore sul mercato europeo
Carichi di carbone provenienti dall’Australia sono stati trattati a oltre 200 dollari alla tonnellata. Gli ordini che arrivano dalla Cina stanno facendo esplodere i prezzi con evidenti riflessi sull’economia globale. Non a caso i futures sullo Zhengzhou Commodity Exchange sono balzati del 6,5% per chiudere a 1.393,6 yuan (216 dollari) a tonnellata, un nuovo record.
Secondo Goldman Sachs, con l’aumento della domanda invernale di energia, il prezzo del carbone potrebbe salire fino a 230 dollari alla tonnellata. La crisi energetica globale sta alimentando la domanda dei carburanti fossili più inquinanti, per permettere la produzione di energia da destinare alle abitazioni e alle industrie.
La Cina sembra disposta a pagare i prezzi più alti, con la National Development and Reform Commission che ha sollecitato gli impianti di produzione elettrica ad aumentare le scorte in vista dell’inverno.
La transizione verde che occupa gran parte del dibattito politico ed economico del nostro tempo deve cedere il passo alla durissima realtà, con il carbone, quanto di più inquinante si conosca per produrre energia, tornato ad alzare la voce sui mercati internazionali.
La ripresa economica dopo la pandemia chiede grandi quantità di energia senza preoccuparsi molto della fonte e nemmeno dei prezzi. Impossibile pensare al blackout energetico lasciando le case al freddo nell’inverno imminente o rallentare la produzione industriale.
L’Europa si approvvigiona soprattutto via gasdotto da produttori interni e dall’estero, specie Russia, ma la richiesta di metano si è impennata e la Russia ha annunciato un taglio delle esportazioni verso l’Europa occidentale del 30%, visto che la domanda di gas è aumentata di un terzo nello scorso decennio, pari in termini assoluti a 1.000 miliardi di metri cubi, salendo ad un livello di 3.900 miliardi e il contestuale spostamento del baricentro della domanda verso l’Asia, con l’Europa gradualmente decrescente ad appena il 10% dei consumi totali.
Il mercato da regionale è divenuto sempre più globale, col risultato che dall’Asia si riverbera in poche ore sul mercato europeo, divenuto sempre meno eurocentrico e sempre più dipendente dall’estero (91%), con problemi di sicurezza non inferiori a quelli d’un tempo col petrolio, passando in sostanza da una dipendenza all’altra, forse ancor più critica, grazie al convincimento che i bassi valori – dovuti alla crisi del mercato dopo il crash finanziario del 2008 – fossero strutturali e non dovuti ad un momentaneo surplus di offerta.
Il TAP (il gasdotto che passa dalla Turchia alla Puglia attraverso la Grecia) tanto osteggiato negli anni passati da una larga parte della attuale maggioranza di governo, appare insufficiente a coprire il gap russo.
Alla passata visione di lungo termine del mercato si è sostituita quella di breve, con l’instabilità che gli è connaturata. Come andiamo vivendo.
Dopo aver veleggiato sui 2-3 dollari/Mbtu da gennaio a luglio dello scorso anno i prezzi internazionali sono saliti a 10 dollari nei restanti mesi per schizzare a gennaio 2021 a punte record di 32,50 dollari/Mbtu in Asia – con immediato il rimbalzo su quelli nell’area europea – per poi ripiegare a valori che attualmente si aggirano sui 15 dollari/Mbtu, largamente superiori a quelli medi degli ultimi decenni.
Ci aspetta un inverno durissimo e probabilmente gelido.
se invece di spendere soldi a d- ESTRA e a manca per sponsorizzazioni , investimenti e prebende spesso discutibili , si fosse intervenuti sui costi primari ed accessori con interventi a favore di fasce più deboli , forse oggi piangeremo meno .
“Ministero per la transizione ecologica”. Si chiama così? 7+ per l’ironia.