di Alessandro Artini
Nonostante la morte di Gino Strada, le strutture ospedaliere di Emergency, in Afghanistan, continuano a funzionare. Continuano, anche se – così si legge nel sito dell’organizzazione – alcune schegge provenienti da ordigni esplosivi, nella notte tra domenica e lunedì 9 agosto, hanno colpito il Posto di primo soccorso a Maydanshar, capoluogo della provincia afgana di Maidan Wardak, nell’area di Kabul.
Ma il compimento della vita di Gino Strada non farà declinare l’utopia (anche se Strada non amava questo termine) di un mondo senza guerre. Forse proprio la sua morte servirà a rilanciare la missione umanitaria di Emergency nel mondo, grazie alla quale sono stati assistiti e curati milioni di persone. Quanto meno c’è da augurarselo.
La protezione dell’umanità malata o ferita dalle mine, attuata da Emergency, sembra collegarsi a un’altra “emergenza”, quella ambientale. Per rimanere a casa nostra, gli incendi che stanno distruggendo i territori di alcune nostre regioni (perlopiù dolosi), certamente alimentano il grave squilibrio ambientale del nostro pianeta, denunciato proprio in questi giorni dagli scienziati dell’ONU. Guerre e disastri ambientali sembrano rappresentare la tempesta distruttrice che potrebbe scatenarsi ai danni del genere umano. Per contro, l’utopia praticata da Emergency induce a nutrire la coscienza di un’identità terrestre. Le minacce alla nostra vita sembrano produrre, come reazione, l’appartenenza a una sorta di cittadinanza terrestre (Edgar Morin), perché – come alcuni hanno fatto notare – noi umani non siamo dei croceristi sullo yacht del pianeta Terra, ma, molto più semplicemente, l’equipaggio della nave. Forse siamo proprio la modesta ciurma.
Tuttavia, mentre una parte dell’umanità elabora una tale consapevolezza, un’altra parte continua a perseverare nella pratica di difesa dei propri interessi particolaristici. Certamente nessun popolo e nessuno Stato, nella storia, può ritenersi esente dall’attenzione miope ai propri vantaggi, che oggi sono perseguiti sotto forma di politiche neoimperialistiche. Ma una tale ammissione, non deve far attenuare la nostra attenzione sugli eventi in corso per prevenirne gli esiti negativi, perché né le attività filantropiche, né l’utopia di una cittadinanza terrestre ci pongono al riparo da possibili tragedie. Ad esempio, Cina, Russia e Turchia si interessano da tempo alla fine del governo istituzionale di Kabul, con mire espansionistiche.
Quella afghana non è una sconfitta solo degli Americani, ma anche degli alleati (ivi compresi noi Italiani). Con essa, infatti, si pone definitivamente fine all’idea di poter esportare la democrazia (come tecnica di voto per le elezioni) in paesi storicamente alieni a un tale regime. Viene meno anche l’idea del primo decennio di questo secolo di un costituendo nuovo ordine internazionale, fondato sui principi della “responsibility to protect” e su quello degli interventi umanitari, atti a giustificare un vero e proprio “ius ad bellum” (Luca Scuccimarra).
Ma l’aspetto che più colpisce è dato dal fatto che l’esercito ufficiale afghano si dilegua come neve al sole di fronte allo strapotere delle armi talebane e solo pochi uomini si oppongono ai Talebani. Nonostante il loro eroismo, questi ultimi vengono catturati e immediatamente impiccati ai pali dei lampioni. La debolezza militare pare riflettere la mancanza di coesione di quella parte del popolo afghano che aveva fatto propri i valori occidentali. Una mancanza resa ancora più evidente, se considerata in controluce rispetto alla apparente densità spirituale dei combattenti talebani, pronti a una liberatoria morte.
Passando a un altro scenario, se l’attuale situazione della Tunisia non vedrà la pacificazione delle forze contrapposte, vedremo presto navi militari turche e russe solcare il Sud del Mediterraneo. Di fronte a casa nostra. Saranno loro a gestire (forse indirettamente) la tratta degli immigrati, anche di quelli che finiranno sulle nostre coste…
Mentre da Kabul, cioè da Est, i fuggitivi afghani si indirizzeranno verso l’Europa e particolarmente verso la Germania.
Saremo capaci noi occidentali di vivere una forte spiritualità nella difesa dei nostri valori?
Così, mentre la politica italiana – scrive Giulio Sapelli sul Sussidiario – è sostanzialmente priva di poteri decisionali, a fronte delle risorse del Recovery Fund, e si limita a becchettarsi come i noti capponi di Renzo, alcune nuove potenze si gettano nella mischia.
Tre cose, in conclusione.
La prima è che gli Americani ci hanno tolto il protettivo ombrello militare.
La seconda è che il ministro degli Esteri ogni tanto fa qualche errore di Geografia (cfr. i video su Youtube).
La terza, che è un po’ la conclusione sillogistica delle due precedenti premesse, è che corriamo il rischio di diventare bocconi succulenti.