di Filippo Cerofolini
Agli albori della professione, un collega, come me in vana attesa nei corridoi del palazzo di giustizia, ragionando di tasse mi impartì una lezione: “con lo Stato è una guerra continua. Prima ne prendi coscienza e prima reagisci. E ricordati che in guerra, ogni mezzo è lecito”. La verifica “sul campo” è di costante attualità. Facile toccare con mano la rapacità dello stato quando pretende e la sua inerzia quando dovrebbe rendere, per quel contratto sociale teorizzato secoli fa. In occidente, il rapporto Stato/cittadino si declina essenzialmente in due modi: quello liberale, radicato principalmente nei paesi anglosassoni, dove lo Stato chiede poco ed offre in egual misura, lasciando al cittadino libertà di scelta; e quello delle socialdemocrazie nord europee, dove a fronte di una imposizione fiscale elevata, lo Stato assiste il cittadino “dalla culla alla tomba”. L’originalità italiana sta invece nell’aver creato una terza via, una diabolica crasi: paghiamo tasse più alte degli svedesi, ricevendo però i servizi forse addirittura peggiori degli yankee. C’è chi ha contato addirittura 100 tra tributi e imposte, che gravano sugli italiani: si va dalle accise sulla benzina, che ancora finanziano la guerra in Etiopia del 1935, ai diritti per i contrassegni apposti sulle merci, all’imposta per l’adeguamento dei principi contabili, all’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. La qualità, la completezza dei pubblici servizi, controprestazione dello Stato, è arcinota e non vale la pena squadernare neppure in pillole un cahier de doleance. C’è malfunzionamento, corruzione, distorsioni politiche, una burocrazia onnipotente e regina delle procedure, sopraffazione e consuetudine alla sudditanza. Fatti salvi tutti quelli da salvare. L’obiezione di solito proposta, alla tesi del cittadino vessato dallo Stato insaziabile, è che in Italia le tasse sono alte perché le pagano in pochi. “Pagare tutti per pagare meno” dicono… L’esperienza e i numeri dicono che non è così: più aumenta il gettito, più lo Stato diventa famelico; più aumentano sprechi e disservizi. Non si è valutato che l’equità nell’imposizione e l’adeguatezza dei servizi avrebbero naturalmente aumentato il gettito, risparmiando ai cittadini l’immagine di uno stato prevaricatore, impunibile, ma capace di imporre tributi esosi e punire a sproposito. “pagare tutti per pagare meno”: i dati ufficiali dicono il contrario; non solo rimaniamo i primi in Europa per la pressione fiscale complessiva; non solo siamo ben al di sopra della media degli altri Stati dell’UE; ma, ciò che più conta, la pressione non è mai calata in questi anni. Sia che ci fosse il centrodestra che il centrosinistra o i “nuovi barbari”. Lo Stato italiano è un pozzo senza fondo, un “buco nero” che ingurgita tutto senza rendere nulla. L’assunto del collega è attuale e raffigura il lievito madre degli scompensi nazionali. Dallo stato ci si difende con ogni mezzo, per sopravvivere. Non va bene ma così è o forse vogliono che così sia, per perpetuare soprusi prepotenze arroganze, uso impudico del potere.
Che bello giustificare l’evasione fiscale… complimenti al fenomeno che ha scritto l’articolo!
Cito una frase:
““Pagare tutti per pagare meno” dicono… L’esperienza e i numeri dicono che non è così: più aumenta il gettito, più lo Stato diventa famelico; più aumentano sprechi e disservizi.”
Questa frase non ha senso. “Pagare tutti” non vuol dire aumentare il gettito. Vuol dire far rispettare le regole. Chi scrive fa confusione fra le due cose, non si sa se volontariamente o involontariamente. D’altro canto, lo dice all’inizio: ogni mezzo è lecito.
Altra chicca:
“Lo Stato italiano è un pozzo senza fondo, un “buco nero” che ingurgita tutto senza rendere nulla”
Quindi ospedali, scuole, università, forze di polizia sono “nulla”. L’autore dell’articolo evidentemente è nato imparato e indistruttibile.