“Trovo pericoloso, dal punto di vista culturale prima ancora che ideologico, che pochi privati cittadini, con competenza e ruolo più o meno accertati, pretendano di dettare la linea all’Amministrazione Comunale in materia di autorizzazioni alle attività commerciali. Scegliendo chi può e chi non può aprire un esercizio e dove debba farlo. Non è sana questa contrapposizione tra residenti e aziende, alimentata troppo frequentemente tra la legittima attività d’impresa (e chi la esercita osservando la legge) e i “comitati di residenti”, che nascono in maniera spontanea coagulandosi su micro-interessi spesso troppo particolari. La città, infatti, è di tutti: Per lo meno di tutti coloro che rispettano la legge. A chi non lo fa, “botte da orbi” (metaforicamente), ma a chi lo fa e produce ricchezza, occupazione e socialità, non possiamo che lasciare porte aperte. Non dimentichiamo che vivere in città significa integrarsi in un sistema dove, ci piaccia o meno, convivono diverse funzioni, destinate a pubblici diversi: dalla scuola alla rete commerciale, dai parcheggi ai teatri, agli uffici pubblici, ai giardini e così via. Su ogni cosa deve regnare sovrano il principio del rispetto: della legge e delle più elementari norme di civile convivenza. Ma nessuno può sindacare sulla validità o meno di certe funzioni, pur se non le trova utili o interessanti per se stesso. I pubblici esercizi sono luoghi di incontro, dialogo e divertimento. Svolgono quindi una funzione sociale importante, che nei lunghi mesi segnati dalle limitazioni anti Covid tanti di noi hanno rimpianto con nostalgia. Quelli aretini, poi, non sono locali affollati da orde barbare di turisti incivili: sono aperti da noi e per noi, da e per i nostri figli, da e per gli amici dei nostri figli. E allora, se ci ostiniamo a non volerli vicino a casa nostra, secondo il principio opportunistico del “not in my backyard”, senza pretendere di aprire un dibattito a sfondo sociologico dovremmo avere il coraggio di capire perché e cosa ci disturba nei luoghi della “movida”. E magari correre ai ripari, perché i gesti di inciviltà che ci spaventano (vedi la questione di piazza della Badia) sono compiuti da persone che ci sono vicine e conosciamo benissimo… Chi, poi, senza farsi troppe domande, semplicemente preferisse per sé la quiete e i sovrumani silenzi di leopardiana memoria, può sempre trasferirsi in campagna”.
a sintesi della diatriba emerge un fatto solo : qualcosa bisogna fare , perchè se è giusto concedere la libertà (dopo le opportune verifiche ) alla libera iniziativa , è altrettanto giusto tutelare il diritto del cittadino a vivere tranquillo (tiro fuori la retorica che tra quei cittadini ci sono persone anziane , malati, turnisti ai quali due notti di insonnia la settimana potrebbero causare seri problemi . Pochi , ma non pochissimi ragazzotti e ragazzotte sono dei gran maleducati , e purtroppo , come capita nella adolescenza , sono spesso presi a modello dai più deboli . Propongo l ‘apertura nella immediata periferia cittadina di capannoni adibiti ,tipo rave, aperti dopo l ‘una di notte insomma una specie di zoo dove possano ubriacarsi , picchiarsi , vomitarsi addosso , al ritmo di una fantastica musica . Questa è una provocazione ,naturalmente , ma quello che mi deprime è osservare la grande maggioranza di essi con lo sguardo fisso al telefonino , in mostra senza degnare della minima attenzione i compagni , tutti omologati con la presunzione di essere protagonisti. Credo pure che per ogni serata occorra almeno un cinquantino che nessun genitore si degna di negare , e per finire caro Casalini sono stato anch ‘io adolescente , giovane e piuttosto turbolento , ma qualche libro lo leggevamo , e qualche quesito in più ce lo ponevamo .
Attenzione perché quando si usano leve regolamentari, si sa dove si comincia ma mai dove si finisce. La situazione attuale è che i centri storici rischiano di cambiare per sempre a causa della desertificazione commerciale aggiungendo che se vivere in un museo pare non appassioni molti, se il museo si trasforma in un cimitero monumentale, genera fughe di massa. Ed infatti il fenomeno ha dato il via ad un vero e proprio esodo che ad Arezzo ha portato in 20 anni i residenti da 20mila a 7mila. E’ un circolo al ribasso, che genera ancora chiusure, ancora nuovi abbandoni, avviando la desertificazione dei centri storici. Il risultato sarà una progressiva perdita dei valori immobiliari, che sarà inarrestabile. E la sostituzione dei vecchi residenti con i nuovi cittadini, che non capiscono la storia e la vita di certe zone, ma in cui si trovano giocoforza trapiantati dall’offerta immobiliare. La saionizzazione è dietro l’angolo!
I dati dell’Ufficio Studi di Confcommercio ‘Demografia d’impresa nelle città italiane’, parlano chiaro: tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%), con un progressivo processo di desertificazione commerciale. E nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). “Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”, sottolinea l’associazione. Tengono i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modifiche dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%)
Ma quasi tutti gli altri settori sono in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. Sono dati al 2020 che non tengono ancora conto del Covid. Aspettiamo dati aggiornati
A parte i singoli casi ma è per forza questa la visione di città, di economia e comunità?
Centri storici imbottiti di bar ristoranti e B. & B. adibiti ad uso esclusivamente turistico e abitanti in periferia o paesi dormitorio.
Il fine settimana pieni e nei giorni feriali desolati.
In tempi di pandemia più importante l’ apericena del nonno, in tempi di guerra arriveremo al punto di energia razionata e movida tutta la notte?
Toglieteci tutto ma non lo spritz.
Tirare in ballo la sindrome Nimby quando si discute della trasformazione di un ex chiosco di fioraio in un bancone da alcolici è ridicolo e fuorviante.
Il Censis, in un rapporto sulla movida commissionato dalla Fipe-Confcommercio (mi ci viene da ridere) ha ben analizzato i vantaggi ed i rischi della movida.
Fra i principali fattori di rischio della degenerazione della movida in malamovida (che non è un fastidio, ma una disgrazia per quartieri interi) è proprio il proliferare di “locali” che locali non sono. Micro-locali che servono centinaia di avventori che consumano prevalentemente se non esclusivamente fuori dai locali e dal suolo pubblico eventualmente concesso. Take-away alcolico.
Confido che non sarà il caso del Grotti, ma ad Arezzo non mancano “imprenditori” dediti alla sistematica esternalizzazione dei costi cammuffata da missione sociale in nome del diritto all’impresa, alla socializzazione e al divertimento (diritto dai misteriosi contorni).
Imprenditori maestri nello scaricare disagi e costi delle loro attività sul Pubblico: a pulire piazze e strade pubbliche deve pensare la Sei con turni straordinari; per far rispettare norme e regolamenti che stanno alla base della civile convivenza si invocano le pubbliche forze dell’ordine (pure per piantonare le zone pedonale servono i vigili); per sopperire alla carenza di servizi igienici dei micro- locali, che in quanto tali vengono esentati dall’obbligo di avere servizi separati per i clienti, si chiedono bagni pubblici alla pubblica Amministrazione (ovvio che i bagni pubblici in una città ci vogliono, ma certo non per servire centinaia di clienti di locali privati).
Mica li tira fuori la Confcommercio i soldi per pagare tutta ‘sta roba. Li tiriamo fuori noi cittadini.
Ciliegina sulla torta il Marinoni che piglia per il culo parafrasando l’urbana quiete pubblica come i leopardiani sovrumani silenzi.
Che ci vada la Confcommercio in campagna a costruire il suo bell’ Outlet del divertimento, facendosi carico dei relativi costi di gestione.
http://www.fipe.it/files/ricerche/2013/20-06-13Rapporto_movida.pdf
(lunghissimo, ma per quello di cui si parla qui bastano le parti terza e quarta).
I luoghi di aggregazione giovanile sono sempre esistiti (cfr Federico Fellini). Capisco il bisogno degli adulti di andare a letto presto, ma bar o non bar, la movida notturna ci sarà a prescindere. Con il corollario di chi beve troppo, di chi la fa fuori del vaso e di chi si da due manate. Anche se S.Agostino chiude a mezzanotte, d’estate alle 3 ancora c’è gente. Dunque che facciamo? Smettiamo di fare figli? Chiudiamo i giovani in casa? Vietiamo gli assembramenti con più di due persone? Io sono vissuto per 50 anni a metà strada tra il cinema all’aperto, le feste di quartiere, il mercato del sabato alle 5, i go kart due volte l’anno, la fiera del mestolo, una discoteca poi saltata in aria, il mercato internazionale e quelli che alle 3 di notte hanno sempre la geniale idea di suonare i campanelli. Ho sopportato perchè sono stato un giovane anche io, perchè anche a me piaceva tirare tardi, Vogliamo rendere attrattiva turisticamente la città, e poi alle 21 vorremmo il coprifuoco? CI pIacerebbe avere solo i turisti che il giorno ammirano i musei (del cazzo) e la notte vanno a letto presto? Insomma la botte piena, la moglie briaca. Le città turistiche la notte vivono. E d’estate vivono all’aperto. Bisogna stabilire che cosa vogliamo fare con questa città. Per ora mi pare un gigantesco cimitero, dove la pace regna sovrana e ancora c’è la gara a chi fa ha la cappella più bella a 8 stanze con doppi servizi. Insomma a chi è il più ricco del cimitero. RIP
Non ho analizzato e tanto meno stigmatizzato l’aggregazione e la vita serale-notturna. Ribadisco invece che ritengo pericoloso come, in nome della socializzazione e della vitalità urbana, si incentivino e difendano a spada tratta iniziative economiche che generano criticità alle quali le amministrazioni cittadine non sono in condizione di rispondere, se non con costi che gravano sulla cittadinanza intera. Per come la vedo io (e parrebbe pure per come la vede il Censis) la somministrazione di alcolici destinati ad essere consumati prevalentemente se non esclusivamente su suolo pubblico genera forti criticità. Se proprio vogliamo parlare di socializzazione, allora ricordiamo pure come Confcommercio, dietro lo scudo della lotta alla concorrenza sleale, non s’è fatta scrupoli ad attaccare le Sagre, che di sicuro rappresentavano importanti momenti di aggregazione.
Non una parola invece sulla concorrenza sleale che i micro-locali che servono alcolici da asporto fanno ai locali che affrontano tutte le spese di un locale che serve prevalentemente all’interno o su una porzione di suolo pubblico regolarmente presa in concessione (e anche qui il principio di proporzione fra spazi esterni e spazio esterno in concessione sarebbe fondamentale).
Paradossale davvero che la discussione sia nata in occasione della notizia di un nuovo “locale” aperto dal Grotti, proprio lui che, avendo in prima persona patito il proliferare dei micro-locali-poca-spesa-tanta- resa intorno alle Stanze, non ha potuto far altro che rassegnarsi al nuovo (dis)ordine delle cose e ripartire da un chiosco.
In bocca al lupo alla sua nuova attività, al quartiere in cui aprirà e alla città intera.
Trovo incredibile un intervento così scomposto e irrispettoso da parte di una persona con questa carica.
“Pochi privati cittadini”, non credo siano pochi ma ci sono dei diritti
incontestabili anche se riguardassero un solo cittadino.
Dormire la notte,alzarsi senza ritrovarsi con la propria auto danneggiata o con i
portoni e muri di casa pieni di vomito e urina sono micro-interessi particolari?
Il problema non è l’apertura di nuovi locali, lo scandalo è che non si riesce a
chiudere quelli che dopo le 23,00 alimentano la malamovida!
Certo che se l’economia si deve reggere sulla vendita degli alcolici a tarda notte
siamo messi molto male.
Clamoroso poi l’invito finale a trasferirsi in campagna, a parte che da certi
problemi a volte non si salva nemmeno la campagna ma qui evidentemente c’è un’idea di città in cui il “privato cittadino”residente è visto come un ostacolo verso la realizzazione di quello che sembra un luna-park permanente che poi è quanto di più distante ci sia dal brand dello splendido borgo toscano.
Io non disprezzerei così la quiete e il silenzio, anzi dopo certi interventi mi appare
ancora più apprezzabile.
Se la sindrome NIMBY colpisse ogni abitante della Terra diventerebbe di fatto impossibile fare qualsiasi cosa, che risulterebbe fastidiosa per la relativa zona coinvolta.
Si arriverebbe così al paradosso che pur riconoscendo una cosa comunque valido, non si riuscirebbe ugualmente a realizzarla. D’altra parte anche la possibilità opposta, per cui nessun abitante della Terra fosse motivato a tutelare il territorio in cui vive, risulterebbe devastante dal punto di vista non solo ambientale.
Gli anglofoni, per indicare la degenerazione estrema della sindrome NIMBY, utilizzano l’acronimo BANANA che sta per Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything (lett. “(non) costruire assolutamente nulla in alcun luogo vicino a qualsiasi cosa”).
Si può fare tutto ma poi si deve controllare e far rispettare
l’ordine, se non funziona si richiude, la preoccupazione preventiva
dei cittadini è sacrosanta vista la degenerazione e l’incapacità
totale dell’amministrazione ad arginarla in altre zone.
Non si tratta di semplici fastidi, nimby o pimby il disturbo della
quiete pubblica è un reato e non è negoziabile con una convenienza
economica.
Facile parlare e invitare a trasferirsi quando il casino è sotto
casa degli altri, non so che sindrome sia questa ma ci sono dei modi
di dire che la rappresentano efficacemente ma non si possono
scrivere.