I fatti di Ucraina oscurano molte notizie, ma certo che ad Arezzo la morte di Walter de Benedetto non poteva rimanere offuscata. Chi ha conosciuto Walter si sarà reso conto di come dolore e disabilità avessero profondamente inciso sulla sua vita, mi auguro solo che abbia trovato la sua pace.
Altre notizie erano rimaste in secondo piano a causa della guerra, vedi l’archiviazione del procedimento con cui la magistratura indagava un suo quasi coetaneo aretino per avere saltato la fila a vaccinarsi giocando sugli equivoci, sulla notorietà, sul rompere il cazzo. Dal suo albergo 5 stelle costui aveva detto che gli italiani lo dovevano ringraziare: io no, io l’ho mandato a Lucca perché io ed i miei veri caregiver –come tanti altri fragili e reali caregiver- abbiamo fatto la vaccinazione numerose settimane dopo di lui. E probabilmente anche Walter era stato vaccinato dopo il cazzaro de’Rezzo, il cui ego narcisista è incontenibile, valutandosi ovviamente superiore (e molto) ai fragili veri e frequentandoli solo dinanzi alle telecamere (infatti era caregiver de’sta cippa).
Diceva di soffrire della sindrome della soubrette, che non aveva infranto alcuna legge: effettivamente il suo fu un atteggiamento solo censurabile, di nessuna rilevanza penale. Eticamente invece una enormità, un orrore, un obbrobrio, uno schifo. Al quale molti avevano reagito con ribrezzo; l’omnipresente aveva poi annunziato di voler querelare tutti, ma invece deve essere stato chiotto-chiotto, rispolverare la storia non fa bene.
Mentre di schifo era la vita di Walter, scelse di supplire alla indisponibilità di una dose adeguata a combattere i dolori producendo autarchicamente cannabis da una dozzina di piante, stretto fra una malattia feroce e la giurisdizione italiana che continua a vedere ogni uso della cannabis come un attacco ai benpensanti (gente che popola il parlamento molto più delle strade, vedi la bocciatura del referendum). Quelle piante che secondo i carabinieri pesavano oltre 20 chili; non c’erano a scuola quando spiegavano netto, tara, lordo e pare abbiano pesato terra e coccio oltre alle piante: peccato che il furgone non gli entrasse in bascula…
Lo sventurato amico coinvolto in quella situazione si è anche beccato una condanna in primo grado, mentre il procedimento contro Walter andò in cavalleria -per la mobilitazione che aveva suscitato- portando alla prima applicazione di legge che tenesse conto dei fatti e non soltanto dei commi. Se non vi riesce a immaginare cosa sia accaduto in questi anni di coronavirus e chiusure, lasciatevi dire che per lunghi mesi la fornitura ufficiale di derivati non è stata garantita. Costringendo tante persone in preda a dolori difficilmente immaginabili ad attaccarsi alle lamette perché lo Stato italiano ci mette lustri per passare dai pensieri ai fatti. A proposito, chi riesce a trovare questi principi farmaceutici -che debbono essere richiesti con una procedura sanitaria dove la locale Usl naturalmente è ben coinvolta- deve comunque sottoporsi ad una trafila con modulo di segnalazione neanche fosse Al Capone.
Mentre il cazzaro salta la fila per andare a fare una vacanza per trattamenti.
Walter, riposa in pace. Quella sfacciataggine non ti riguarda più, pur se neanche poteva sfiorarti tanta era la distanza.
Hai ricordato come avresti voluto più visite in vita e meno cordoglio: certo a qualcuno gli saranno fischiate le orecchie, ma non è facile visitare chi sta male. Occorre uno stato di positiva proattività, l’uso successivo di un bagno schiuma che asporti le scorie che si appiccicano durante. Ma hai puntato il dito su una sacrosanta verità: una visita -ma talvolta va bene anche uno squillo o due righe- vale tanto per alcuni, lo dicono. Certo più di certe parole post mortem che non ritrovo nella lettera che Walter ha scritto. Esprimere giudizi di qualità su una morte è affare scivoloso. Che bello, è morto senza perderne cognizione nei giorni precedenti. Non sapevo ci fosse un questionario customer satisfaction sulla propria morte. Ci sarà modo di parlarne con Walter. A questo credo.