Qualche giorno fa ho sentito il ministro Dadone rimarcare la sua denuncia circa la inadeguata parità di genere già espressa con la foto pubblicata per la giornata della donna che vede il ministro, felpa dei Nirvana, alla sua scrivania su cui poggia le gambe con paio di scarpe rosse mentre guarda il suo cellulare. Ultimamente la diatriba sulla volontà dell’attuale segretario del PDemocratico di avere donne alla guida dei parlamentari, con poderoso lancio di coltelli.
La politica è proprio il luogo in cui la parità di genere non alberga. Perché la politica è lontana dalla vita del nostro paese: non credo di essere stato l’unico ad avere trovato numerose imprenditrici di spessore, a stimare professioniste in vari settori, a credere che chi per motivi ideologici tiene le donne lontano dai posti che loro spettano (per qualità, non per percentuale) costringe la propria società a recedere.
Merito, non parità di genere, credo che questo sia quello che le donne vogliono; parità di genere, non merito, questo è quello che vogliono le donne in politica.
Il risultato sono figure come la Pivetti e la Boldrini, entrambe presidenti della Camera, entrambe degne del dimenticatoio, dell’oblio: l’ultima figura di cacca l’ha fatta quella che non ha pagato le proprie collaboratrici dicendo che era colpa dell’avversa fortuna, quando percepiva quasi € 300.000 annui. Basta questo a sottolineare come le chiacchiere stanno a zero.
La ministro Dadone, tramite quella foto così pensata e posata, esprime esattamente l’opposto di quello che era nelle intenzioni: la maleducazione dei suoi colleghi maschi. Del resto è espressione di quel partito il cui organo di stampa è Il Fatto Quotidiano, dove scrive quell’aretino che è salito alle cronache per essersi fatto vaccinare a 47 anni. Più tempo passa più la sua versione fa acqua, non è un caso che lo abbiano allontanato dall’emittente la7, e contemporaneamente abbia trovato casa in Rai, quella che tutti noi teniamo in piedi nonostante una gestione indegna. Lavora con una giornalista che forse deve il ruolo non al merito, bensì al cognome: un’altra di quelle cose che mi fanno vomitare spesso, e che può essere assimilata alla parità di genere come concepita nelle nostre istituzioni. Dove non conta il merito, conta l’abilità del direttore della fotografia nell’illuminarle nella maniera più favorevole finendo esse stesse per essere schiave dell’apparenza fisica che nulla c’entra con il merito.
Del resto ormai tanta gente ha portato il cervello all’ammasso, totalmente incapace di proprio pensiero critico: crede alle veline dell’agenzie di comunicazione o degli uffici stampa; diversamente non avremmo la città governata dalla classe politica che probabilmente sarà rinviata a giudizio per intero fra pochi giorni. Non conta quello che fanno, conta quello che dicono, se già non fosse una bestialità ricordate che noi cittadini paghiamo il conto della loro comunicazione costruita a botte di convenzioni addossate alle istituzioni. Se ci fate caso da qualche giorno anche l’azienda sanitaria ha iniziato a sparare comunicati stampa qual mitragliatrice: come cittadino vulnerabile preferirei facessero le vaccinazioni, invece di farmi passare le giornate davanti al computer a risolvere captcha per accedere al loro sito e farmi dire che non ci sono dosi vaccinali. Meglio ammansire gli organi di stampa con comunicati e convenzioni. I media sono sempre più schiacciati sui centri di potere; qualche esempio locale: il cataclisma che ha investito il presidente Camera di Commercio indagato (si è dato molto rilievo alla autosospensione sorvolando sul fatto che il provvedimento del magistrato già prevedeva misura cautelare della sospensione totale dell’esercizio del pubblico ufficio di Presidente della Cciaa per sei mesi); lo scivolone d’una testimone al processo BEtruria che non si è presentata fornendo come giustificazione “c’ho da fare“, teste individuata con un cognome che non dice niente ai più: questa signora ha voluto farsi conoscere tramite il cognome del marito, per legare il suo ruolo e notorietà all’insegna commerciale, alla faccia della legittima aspirazione di tante donne di rivendicare la propria indipendenza dal cognome acquisito, fattispecie invece assai gradita alla presidente della Provincia o alla presidente del Senato o alla portavoce di FdI.
Peraltro quando si parla del processo BEtruria viene sempre nominato il Boschi, dimenticando la quantità industriale di notabili aretini che furono o sono tuttora alla sbarra: vado a memoria, ancora dovrebbero essere imputati Grazzini, Presidente commercialisti e professionista delle fondazioni ghinelliane, ed anche Anna Maria Nocentini, presidente pro tempore della Camera di Commercio, cioè chi ha sostituito l’autosospeso (applausi a scena aperta). Tutti innocenti fino all’ultimo grado, ma non menzionarli puzza di marchetta.
I media locali sempre così in 1ª fila nel puntare il dito contro la mala gestione di qualunque cosa, si sono dimenticati di sottolineare come il procedimento coingas è ulteriormente slittato di quasi un mese perché avevano cappellato 3 notifiche su 13; questo episodio mi offre due spunti: se l’avessimo fatto noi comuni cittadini ci avrebbero tirato le orecchie; se in questo mondo digitale dove il cittadino deve dotarsi dello spid la procedura giudiziaria non ha tuttora trovato metodo migliore per le convocazioni, siamo davvero messi male.
Sulla questione donne – quote rosa sono completamente d’accordo.
Per quanto riguarda la 7, per me, se c’é un Giletti (anche vestito da Armani in persona) può benissimo rimanerci uno Scanzi. Fanno parlare ogni sorta di pregiudicato e condannato che fare ostracismo per un vaccino astra zeneca, date le condizioni, mi puzza anche a me di marchetta (per non farsi mancare niente pure il figlio di Riina è andato da Vespa mentre su rete 4 è un coro serale di truppe cammellate da un presidente già affidato al recupero sociale. E non si racconti la storiella che quello è privato, devono tanto al pubblico: a cosa serviva Craxi?).
Sulle vicende locali mi sembra ragionevole quanto scritto, ma sulla Banca non considero neanche la figura di Boschi, se non per un aspetto illuminante privo di rilievo giudiziario, mentre di tutti gli altri tengo elenco. Circa l’aspetto accennato: ma un tipo che va chiedendo ad un Carboni consigli sul miglior direttore sul mercato come può essere valutato?
Tra parentesi sarei anche io un “cittadino vulnerabile”, ma se qualcuno si vaccina prima non mi viene voglia di vomitare e non lo invidio