Recentemente un tribunale inglese ha stabilito che, Assange, il fondatore della piattaforma WikiLeaks non possa essere estradato negli Stati Uniti dove è ricercato per crimini che lo esporrebbero alla pena di 150 anni. Su quella piattaforma vengono ospitati documenti riservati che mettono in profondo imbarazzo (a dir poco) governi nazionali, società e tanto altro; pur non potendo urlare la veridicità di quanto appare su WikiLeaks, se non effettuando una serie di controlli ed essendo assai bene informato sullo specifico, in troppi casi quanto è apparso ha effettivamente reso pubbliche manovre o politiche che danneggiavano parti più o meno ampie della popolazione mondiale. Proprio per quanto pubblicato circa il governo degli Stati Uniti, Assange è inseguito da un mandato di cattura per imputazioni molto gravi tipo tradimento. Dissentire o esporre pubblicamente notizie diverse da quelle che sono gli interessi dei governi nazionali non dovrebbe essere punito, perché oltre al diritto all’informazione in questo calderone finiscono troppo spesso reati di opinione o di credo religioso. Che sarebbero tutelati dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo. Ma l’Onu non va contro i suoi finanziatori, non va in contrasto con quei governi nazionali che utilizzano questi mezzi. E quanto sta succedendo in Egitto con il caso di Giulio Regeni ricorda come taluni regimi operano nei confronti di chi anche soltanto pone domande.
Il mantenimento dello status quo -poter continuare a fare tutto quello che si vuole senza informare correttamente e chiedere il consenso della popolazione- è alla base di questi processi, se si fanno. Quante volte a noi hanno raccontato la storia dei martiri proto cristiani, che preferivano la morte al professare una religione a quale non credevano; più recentemente i primi aderenti alla religione islamica furono persino costretti a lasciare le loro città perché andavano contro interessi di potere, economici e religiosi; tutt’oggi i testimoni di Geova o altri gruppi sociali, etnici, religiosi sono sottoposti alla reclusione preventiva in molti paesi del mondo, alcuni dei quali sono persino accolti a braccia aperte nei consessi internazionali. Nei secoli passati la sovrapposizione fra potere temporale e secolare faceva sì che la aderenza alla religione di Stato garantisse l’adesione al potere temporale: come i cristiani -che pur mantenevano in ossequio le indicazioni di Gesù di rispetto delle norme fiscali vigenti- non vedevano nell’imperatore la figura per loro più importante, così le confessioni che si sono susseguite ponevano al vertice il loro Dio e non il loro re o presidente. Tuttora vediamo come c’è confusione, una invasione di campo, tra i poteri e chi ha l’autorità e gli strumenti ne abusa.
Sino ad arrivare agli episodi statunitensi di mercoledì scorso, dove un gruppo di esaltati incitati dal presidente in carica uscente ha assaltato il luogo principe di ogni democrazia, il parlamento. A me non piace dissertare degli altrui politicanti, già in Italia ne abbiamo abbastanza da bastonare, certo quanto è accaduto si riallaccia agli utilizzi impropri di false verità: in questo caso la pretesa della elezione fraudolenta del suo avversario. Certo non posso io italiano, cittadino di un paese dove votano anche i morti, fare critiche, ma certo quanto è accaduto è sbalorditivo. Evidente come gli ordinamenti di più datati non riescano a prevedere e gestire situazioni come quelle verificatesi con la presidenza Trump, dinamiche che riguardano l’equilibrio interno di nazioni importantissime. Dinamiche che si sono sviluppate proprio cercando di schiacciare il dissenso e di guidare un paese ricorrendo a false verità: non commento pubblicamente, ma quanto accaduto negli ultimi mesi negli Stati Uniti ricorda tremendamente quanto la stampa ci portava a casa circa le tensioni fra il regime di Maduro e dei suoi oppositori.
A proposito, non se ne sente più parlare, tutto a posto?