Da Gutenberg a Zuckerberg: il futuro che ieri non c’era nelle cattedrali della conoscenza

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The library of the French National Assembly in Paris

di Alessandro Artini

Poco meno di un mese fa, si è concluso, con Gabriella Greison, presso Aisa Impianti, il ciclo di conferenze attuato dalla Biblioteca della Città di Arezzo, in collaborazione con la Fondazione “Guido di Arezzo” e la Feltrinelli Point. La tre conferenze di “Alti Scaffali”, accolte con grande successo di pubblico, hanno rappresentato una novità cittadina, per quanto riguarda la presentazione dei libri. Ad esempio, in occasione della prima, quella con Alessandro Barbero, la vendita on line degli 800 biglietti è terminata nel giro di qualche ora. Inoltre, la coda di coloro che si erano registrati “in attesa” di un posto, a fronte di qualche rinuncia, ha registrato centinaia di richieste, al punto che sarebbe stata necessaria una disponibilità di posti a dir poco doppia rispetto a quella effettiva.

A fronte delle tradizionali presentazioni di libri della nostra biblioteca, le tre conferenze paiono aver inaugurato un nuovo format. In verità, esso trae origine dalle numerose manifestazioni culturali che si svolgono, nei mesi estivi, in molte città italiane. Si tratta soprattutto dei festival (dell’Economia, del Medioevo…) che spesso arricchiscono l’offerta turistica. In altri casi, sono manifestazioni che ormai si ripetono da anni e che rivestono un certo prestigio, come la Versiliana o la Milanesiana, nel corso delle quali alcuni intellettuali, che si esibiscono con dei veri e propri spettacoli, assumono la veste di autentiche star, come nel caso di Barbero. Proprio per questo, è opportuno porsi la domanda sul tipo di cultura veicolato da quelle iniziative, la quale pare non avere i blasoni di quella che una volta veniva qualificata come “alta”. Alcuni, infatti, potrebbero osservare – in maniera un po’ aristocratica – che si tratta soprattutto di intrattenimento. Ebbene credo che questa risposta sia vera solo in parte.

Nella nostra biblioteca cittadina, ad esempio, vi sono spazi per la lettura e lo studio, che non a caso sono frequentati da molti studenti. Vi sono anche stanze apposite per i ricercatori, che possono avere in esame testi rari, sui quali compiere le loro ricerche. Ma gli utenti della biblioteca vivono anche un contesto sociale e cittadino, che influenza l’uso dei servizi bibliotecari stessi. Secondo quanto suggeriscono alcuni studiosi, oggi la lettura ha assunto una natura diversa, più “orizzontale”, prevedendo cioè una comprensione intuitiva e basata su rapide connessioni, anziché “verticale”, tipica dei modelli tradizionali di apprendimento, capaci di scavare e approfondire. Ovviamente mi auguro che questo secondo tipo, praticato soprattutto nelle sale di lettura e di ricerca della biblioteca, non venga meno. Ma non possiamo non prendere atto delle nuove modalità orizzontali, socialmente diffuse, le quali anch’esse richiedono competenze importanti. Si tratta di forme di lettura più veloci, basate sull’interesse e talvolta la curiosità. Indubbiamente sono più fruibili e meno metodiche di quelle finalizzate al tradizionale studio, ma non per questo superficiali, tant’è che quel tipo di lettura si riversa spesso nei social, dove i lettori si confrontano sui libri letti. Addirittura vi sono alcune chat specializzate, dove le persone talvolta dialogano in maniera originale e con riflessioni sostanziose e arricchenti.

Per questo la Biblioteca di Arezzo non disdegna lo spettacolo di presentazione dei libri, perché esso – come suggerisce Elisabetta Sgarbi – non solo intrattiene, ma anche trattiene le persone, in maniera accattivante e al contempo riflessiva. Aggiungerei che la biblioteca ha fatto qualcosa di più, promuovendo il ritorno sulle scene degli Avanzi di Balera, comici aretini talentuosi i quali, in occasione di ciascuna delle tre conferenze, hanno preparato, bruciando i tempi, un apposito spettacolo. Abbiamo capito che essi nutrivano l’esigenza di un cambiamento professionale e li abbiamo accompagnati, al contempo lasciandoci condurre negli arzigogoli scoppiettanti della loro satira. Ci hanno insegnato a ridere di noi stessi. Il che è un fatto culturale – sebbene diverso da quelli tradizionali – perché nasce negli spettatori da un rispecchiamento, linguistico e comportamentale. Ebbene, il distacco, conseguente all’uso dello “specchio” autoironico, apre la strada della riflessione e talvolta del cambiamento.

Ci resta il sapore amaro di uno scoop mancato o meglio di uno scoop a metà. Barbero, infatti, nel corso della sua “esibizione” ha ammesso – su nostra domanda – di essersi fatto un piercing (che poi si è tolto), ma non ha voluto rivelare dove. Una tale confessione, priva dell’indicazione specifica della parte corporea in questione, rappresenta una rivelazione incompiuta, che ciò nonostante ha certamente varcato i confini della nostra città. È uno scoop a metà e a nulla vale il parere di esperti tatuatori a risolvere il mistero… Se riusciremo a far tornare Barbero ad Arezzo, insisteremo per conoscere la storia di quel piercing. In fondo, sempre di storia si tratta, anche se priva della esse maiuscola.

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