di Alessandro Artini
Finita la guerra, avremo modo di valutare l’impatto che hanno avuto i media lungo il suo corso. Intanto mi limito a constatare la straordinaria funzione che registrano gli interventi del Presidente Zelensky, pressoché quotidiani, nei vari contesti internazionali. Immaginate se, nella Seconda Guerra Mondiale si fosse potuto ascoltare i discorsi di Churchill in tutto il mondo… Grazie a Zelensky, si è creata, presso l’opinione pubblica internazionale, una forte simpatia verso gli ucraini. Egli è uno straordinario oratore e ha un team di speechwriter molto informato e intelligente. Se ha avuto una caduta, essa è stata quando ha parlato di fronte alla Knesset, il parlamento israeliano che lui, di origine ebrea, considerava casa propria. Ha sbagliato, perché assimilando la situazione degli ucraini a quella degli ebrei, oppressi dal giogo nazista, in qualche modo ha negato l’unicità della Shoah, che per gli ebrei è intangibile. Ma, a parte questa défaillance, tutti gli altri suoi interventi sono stati di ottimo livello. Se la guerra non fosse una questione troppo seria, potremmo cercare di analizzare le sue tecniche retoriche (capaci di sollevare argomenti che toccano le corde delle varie platee), la sua estetica (maglietta militare e barba lunga) e perfino la prossemica (capace di evocare la gravitas che deriva dagli eventi bellici, ma senza eccedere). Se Zelensky sopravvivrà alla guerra e l’Ucraina entrerà nella Comunità europea, egli potrà ambire a ruoli di primo piano nella Comunità stessa: solo un leader temprato dalla guerra e al di sopra degli interessi dei paesi europei più forti potrebbe promuovere con maggiore decisione il progetto di unificazione.
Anche nelle guerre del passato i media hanno avuto un ruolo fondamentale (si pensi a Radio Londra e al Colonnello Buonasera, Harold Stevens, che tutte le sere informava gli italiani sull’andamento dei combattimenti), ma oggi i media hanno acquisito una funzione ancora più importante. Le informazioni che essi hanno offerto, tra il 2010 e il 2011, durante le primavere arabe, sono state importanti nel sollecitare quel vento di simpatia che esse accolsero, almeno in una prima fase. La globalizzazione ne aveva ampliato l’effetto, ma oggi il favore dell’opinione pubblica mondiale (ad eccezione dei paesi in cui non esiste la libertà di stampa, come la Russia) è ancora più potente, perché esso è riverberato dal colossale sistema di narrazione statunitense.
Ho la sensazione che una delle diversità del presente è che sia possibile smentire le fake news più rapidamente. Ciò vale nonostante le reazioni di particolari segmenti di utenza: ci sono dei gruppi di persone che, anche quando un’informazione falsa viene individuata e smentita, rifiutano di prenderne atto. In tempi di pandemia, i novax hanno deliberatamente ripetuto delle balle, nonostante le reiterate smentite degli scienziati. In quel caso, il mancato riconoscimento della bufala ha avuto a che fare con la bolla mediatica al cui interno una parte sempre più consistente di popolazione si rifugia e che si oppone a qualsiasi informazione diversa da quelle dominanti nella bolla stessa. Ma vi sono anche dei video, come quello su un branco di lupi che, secondo il commentatore, era disposto in maniera tale, durante gli spostamenti, da difendere i membri più vecchi. Esso ha continuato a girare il web, nonostante gli etologi avessero spiegato che il comportamento dei lupi, verso i membri inadatti e vecchi, consiste nell’esatto contrario e cioè nel loro abbandono. In questo caso, il desiderio di credere a una dimensione naturale, carica di valori romantici e solidaristici, ha fatto da schermo a una realtà ben più cruda.
Tornando alla guerra e analizzando in particolare il bombardamento del teatro di Mariupol, il 17 marzo scorso, che i media russi (e non solo loro, ma anche alcuni putinisti nostrani) hanno definito come una fake news, si sta rapidamente rivelando per ciò che è, ovvero una terribile e purtroppo veritiera notizia. Nelle fotografie più recenti e anche in alcune riprese televisive in diretta si vede chiaramente che un’intera fiancata del teatro è stata distrutta. Nonostante le straordinarie tecnologie che possono manipolare la realtà, in questo caso la verità pare evidente perché riportata da una pluralità di fonti.
Più spettacolare e molto efficace è stato il video falsificato del Presidente Zelensky, che invitava i suoi concittadini alla resa e a deporre le armi contro i russi. Il Presidente è stato costretto a smentirlo e anzi a incitare il suo popolo, con un altro video, a una lotta ancora più determinata. Nonostante la bassa qualità della registrazione, il movimento delle labbra di Zelensky e le parole pronunciate parevano coincidere. Anche la sua voce suonava molto naturale e affine a quella autenticamente sua. In questo caso, in termini tecnici, si è preferito parlare di deep fake, per evidenziare la profondità della manipolazione tecnologica effettuata.
Sotto molti aspetti, la dimensione delle fake e la loro raffinatezza possono gettarci nello sconforto, a tal punto è possibile manipolare la verità delle informazioni che riceviamo… Anche per questo quel giornalismo di qualche tempo fa, animato da grandi nomi come Montanelli, Biagi, ecc. sembra stia riconquistando i lettori. Ciò non significa ovviamente che i social vengano dismessi, ma semplicemente che abbiamo bisogno di giornalisti di cui fidarci, che garantiscano con il loro nome, le fonti da cui attingono le notizie. Il giornalismo, come sempre, si rivela una questione di fiducia.