Siamo italiane e italiani senza cittadinanza
“Qualche tempo fa in alcune scuole italiane fu realizzato un esperimento sociale, rivolto agli studenti: fu comunicato loro che una nuova legge aveva stabilito che chi non fosse italiano avrebbe fatto lezione in una classe differenziata.
La reazione degli studenti fu di rabbia, di forte opposizione, di incredulità. I nostri bambini, i nostri ragazzi pensano più grande di noi adulti. I bambini che noi adulti chiamiamo stranieri, anche se sono nati in Italia, parlano il nostro dialetto, giocano e studiano con i nostri figli, tifano per la nazionale.
Per quale irragionevole motivo, allora, nella loro carta di identità non c’è scritto che sono italiani?” Cristiano Rossi, il preside-maestro candidato nel collegio uninominale di Arezzo alla Camera dei Deputati per Unione Popolare con De Magistris propone, nel dibattito politico, la questione del diritto alla cittadinanza italiana per i cittadini stranieri facendo riferimento, in modo provocatorio, all’esperimento sociale realizzato alcuni anni fa, in alcune scuole medie e superiori italiane, per affrontare il tema delle leggi razziali emanate dal governo fascista nel 1938.
Oggi in Italia, nelle nostre scuole, ci sono quasi 900.000 studenti di nazionalità non italiana (oltre il 10% del totale). Eppure sono, per i due terzi, bambine e bambini nati in Italia e che si sentono pienamente appartenenti alla cultura italiana, la cultura del loro paese. Bambine e bambini che, spesso, non sono neppure mai stati nel paese di origine dei loro genitori.
Diverse migliaia sono anche tutte le persone di origine straniera maggiorenni che sono cresciute in Italia e che sentono questo Paese come la loro casa, che qui dedicano i propri studi, le proprie energie, il proprio lavoro, i propri sacrifici, che qui hanno la loro famiglia. L’ostilità, da parte delle destre, allo Ius Soli e allo Ius Culturae è una posizione essenzialmente ideologica e profondamente discriminatoria, basata su pregiudizi e su concezioni identitarie autoreferenziali e antistoriche.
L’appartenenza alla comunità italiana, anche formale, oltre a rappresentare una straordinaria opportunità di integrazione, di crescita, di rivitalizzazione del Paese, rappresenta, prima di tutto, un elemento di egualità tra cittadini che vivono nel medesimo territorio, una questione di diritti (e non di concessioni), di democrazia, in fin dei conti, di Costituzione. Chi la pensa diversamente sì non ha a cuore questo Paese ed è straniero in una comunità fondata sui valori dell’uguaglianza, della pari dignità sociale, del rispetto e della cura della persona.
La speranza è nei nostri giovani, che vivono questa realtà con uno spirito di “normalità”, senza quelle categorie che noi adulti descriviamo: i nostri giovani sono in grado, più di noi adulti, di costruire un mondo nuovo, moderno, in cui le identità si costruiscono nella relazione e non nella separazione. L’Italia potrà avere un futuro solo se saprà rinnovarsi, se sarà in grado di riconosce