L’inchiesta fu promossa dalla procura di Bologna.
I fratello e il figlio della titolare, oltre alla stessa, furono scaraventati in carcere.
Il racconto dell’avvocato difensore Rocco Alagna (Professore di diritto penale e diritto penale commerciale presso Alma Mater Studiorum di Bologna).
Simone Iacopi, spaventato e solo, senza l’assistenza di un difensore, patteggiò tutto quello che era possibile patteggiare pur di poter uscire dall’inferno delle nostre carceri. Patteggiò anche su argomenti cu su cui la stessa procura esprimeva dubbi. Patteggiare, significava mettere la parola fine ad una forma di tortura di stato, rappresentata dal girone dantesco delle prigioni italiane.
Poco conta che il tribunale che lo stava giudicando non fosse neppure competente a farlo. Poco conta che le prove fossero palesemente manipolate, così come ha dimostrato oggi in aula l’avvocato difensore. Fu solo grazie alla volontà della sorella Rita, che senza piegarsi alla logica inquisitoria chiese di poter essere giudicata da una corte e ottenne di poter essere finalmente difesa da un avvocato.
Fu così che il tribunale di Bologna dovette trasferire ad Arezzo – unico trìbunale competente – il fascicolo. E qui finalmente passare al vaglio di inquirenti che cominciarono a studiare il caso.
Oggi quel caso è stato discusso in aula.
Dopo 4 anni da quando l’azienda è stata requisita e massacrata economicamente e i suoi titolari sbattuti in galera, una corte ha stabilito – in nome del popolo italiano – che sono tutti innocenti.
Tutti, eccetto Simone, che non ce l‘ha fatta e si è piegato ad una giustizia che usa il carcere come forma di tortura estorsiva.
Chi assolverà oggi la giustizia italiana?
Gli inquirenti devono finire in galera. Pura corruzione giudiziaria