di Alessandro Artini
Non sono un’analista di politica internazionale, quindi i ragionamenti che mi accingo a sviluppare saranno molto elementari. Me ne scuso anticipatamente, in attesa che gli esperti di guerra occupino la scena mediatica al posto dei virologi (che almeno provvisoriamente possono prendersi qualche giorno di vacanza) e ci spieghino come si evolveranno gli eventi. Certamente la partita a scacchi tra russi e americani sull’Ucraina non poteva finire pari e patta. Generalmente, a scacchi, qualcuno vince e qualcun altro perde, perché la sospensione della partita avviene per accordo dei giocatori oppure quando uno dei due non ha mosse disponibili, pur non essendo sotto scacco. La casistica, per precisione, non si esaurisce qui, ma certamente lo stallo negli scacchi è, come in politica, tutt’altro che ricorrente. I russi, del resto, se la sono sempre cavata meglio degli americani, in quel gioco. Putin, quindi, ha compiuto l’unica mossa prevedibile e prevista: invadere l’Ucraina dopo aver riconosciuto le due repubbliche ribelli di Donetsk e Lugansk.
Perché la soluzione non poteva che essere questa? Perché le forze armate ucraine, ancorché tutt’altro che arrese, ben difficilmente potranno affrontare con successo quelle russe. Con tutta probabilità, per queste ultime, la guerra è destinata a evolversi verso una strategia di azioni tattiche e rappresaglie, anziché di scontri in campo aperto. Almeno credo… Del resto, la Nato non ha titolo per scendere in campo a fianco dell’esercito nazionale, proprio perché l’Ucraina non fa parte dell’alleanza. Per fortuna, perché se avvenisse lo scontro tra la Nato e i russi, saremmo davvero in una situazione di grave crisi, molto più grave di quella attuale. L’Europa verrebbe coinvolta in una guerra del tutto inattesa e per la quale è del tutto impreparata. Politicamente e militarmente. Per quello che so riguardo al secondo aspetto, solo inglesi e francesi dispongono di eserciti atti ad affrontare l’evenienza e i primi, oggi, sono fuori dall’Europa.
Quindi, per quanto faccia male allo stomaco, occorre riconoscere che il ministro degli esteri russo, Lavrov, quando ha dichiarato che solo in questo modo si poteva evitare la deflagrazione di una guerra ancora più spaventosa e dai confini inimmaginabili, aveva ragione. Il conflitto attuale è destinato, infatti, a rimanere confinato in quello sciagurato paese e ben difficilmente potrà esondare nella restante Europa. Egli ha definito la situazione e indicato, contestualmente, la soluzione, seppur provvisoria, del conflitto. Gli occidentali, del resto, non potevano rispondere diversamente da come hanno fatto: promettendo sanzioni dolorose.
Sanzioni, perché aldilà di esse, al momento non c’è nulla. Sul piano militare certamente aumenteranno le forniture di armi agli ucraini e le informazioni delle intelligence occidentali, ma non credo che si possa far molto di più. Se le sanzioni interdicessero ai russi la settimana milanese della moda, l’acquisto di diamanti ad Anversa o le vacanze in Costa Azzurra, esse non sarebbero così insopportabili (semmai sarebbero meno proficue per noi europei).
Comincerà, così, una nuova “Guerra fredda”, ma con dei teatri di guerra molto “caldi”. Soprattutto, come sempre nelle guerre, ma oggi molto di più, si avrà uno scontro di informazioni, una diffusione dolosa di fake news e una costante violazione dei data base dei nemici. Già in queste ore i russi hanno trovato modo di inviare ai telefonini dei soldati ucraini messaggi disfattisti e di invito alla resa (altro che i volantini di D’Annunzio, il 9 agosto 1918, sopra i cieli di Vienna…).
Progressivamente tutti i nodi politici stanno venendo al pettine: le sciocchezze di chi, in politica estera, vedeva in Putin un “uomo di pace” e quelle di chi si è battuto per non potenziare le autonome risorse nazionali tramite lo sfruttamento di gas e idrocarburi marittimi. Speriamo che gli elettori non dimentichino rapidamente tutto questo…
Soprattutto una domanda, per così dire, sorge spontanea: “Chi accetterà di correre il rischio di morire per l’Ucraina?”. In altri termini: “Che importanza hanno le nostre libertà civili?”. Fino a che punto saremo disposti a combattere (e non solo in senso figurato) per mantenere il nostro stile di vita diverso da quello degli autocrati orientali?
Ovviamente siamo tutti a favore della pace, ma ho la sensazione che talvolta, nonostante i nostri auspici, sia la guerra a cercarci. Anche se non la vogliamo. Battersi per la pace, perorarla e ribadirne l’importanza può avere un alto valore morale, ma poco senso pratico.