Auspicarsi una sana e buona amministrazione è utopia?

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Un’amministrazione della cosa pubblica si basa fondamentalmente sulla diligenza del buon padre di famiglia avendo quindi in mente criteri prudenziali (per il mantenimento del patrimonio della comunità), onesti (nella normativa), corretti (per esempio rispettando i termini concordati con i fornitori). Ne ho elencati solo alcuni, il solco nel quale una amministrazione deve scorrere è facilmente identificabile. Come la buona esecuzione delle opere, con materiali adeguati.
Come è facile immaginare che il lassismo ed altre pessime abitudini devono essere contrastate: la normativa ha messo in capo ai dirigenti la lotta all’assenteismo o a bassa produttività.
Più difficile da combattere perché molto spesso l’interesse accomuna livelli bassi e alti dell’organico dell’ente locale o statale. Gente che dimentica di essere “public servants”, siano eletti, nominati, scelti da concorso; e non semidei. Devon rispondere all’interesse della comunità. Facile. Invece molti sono capetti presuntuosi. Che usano metodi e parole indegne.
Altra cosa sono le scelte politiche che la amministrazione intraprende (favorire il trasporto su gomma piuttosto che su rotaia, per esempio) che tuttavia devono seguire gli stessi criteri.
Dopo l’uragano manipulite, nel 1992, abbiamo scoperto che la corruzione si annida nella pubblica amministrazione e solo con grande fatica siamo giunti a dotarsi di strumenti giuridici che difendano la comunità da questi atteggiamenti criminali.
Le norme stesse circa il funzionamento di numerose istituzioni sono state adeguate per prevenire (fornendo anche una linea guida) questi comportamenti contro legge. Spesso i cittadini non comprendono che questi comportamenti hanno una ricaduta sensibile sulle loro tasche, quindi spesso si disinteressano a queste dinamiche. Si fidano; ma col loro voto trascinano altri nel baratro degli orrori, come rischiamo adesso.
Non trovo da eccepire qualora fra due profili di pari merito un amministratore pubblico privilegi una persona a lui nota: la concessione di fiducia spesso si associa alla familiarità, la sintonia tra due persone che si trovano a collaborare viene facilitata dalla conoscenza. Il risultato può essere ottenuto più velocemente. Ma sempre si richiede controllo.
Quello che sta vivendo il Comune di Arezzo da oltre vent’anni segnala come anche in presenza di una sana amministrazione possono intervenire scelte politiche che finiscono per essere punitive nei confronti della cittadinanza: un esempio per tutti, la scelta di cedere il ciclo delle acque ad una società mista (nuove acque) fatta dal sindaco Ricci alla fine degli anni ’90.
Un meccanismo così arzigogolato che ha portato la nostra città avere tariffe per il ciclo delle acque fra le più elevate a livello nazionale, l’interesse del partner privato ad ottenere elevata remunerazione dei propri investimenti doveva essere calmierato dalla autorità di ambito, ma ci siamo trovati con ex sindaci (in nuove acque: l’ex di Arezzo Ricci prima, un ex del Valdarno adesso) a presiedere entrambi i lati del tavolo e non sono sicuro che gli utenti del servizio idrico fossero entusiasti delle politiche di entrambi.
Indubbiamente il fiorire di incarichi con i relativi emolumenti è strumentale ai bisogni della politica e dei suoi rappresentanti che -come qualcuno giustamente ricordava- sono “persone che conoscono benissimo il lavoro, tant’è vero che lo hanno sempre evitato”.
Le inchieste aretine focalizzano su ben tre aziende partecipate individuando aspetti dubbi sul conferimento degli incarichi o di consulenze o sulla promessa di benefici personali in cambio di presidenze.
Non sono passati neanche 15 anni dal turbine giudiziario che sconvolse la città, con conseguente commissariamento del Comune, a causa dei cosiddetti moschettieri del mattone.
Non è soltanto il danno diretto causato dai comportamenti (si chiedevano mazzette per autorizzare opere), la città ha anche subito -almeno con la prima amministrazione Fanfani- un congelamento dovuto alla comprensibile paura che certi atteggiamenti sopravvivessero. Il blocco dell’edilizia di quegli anni potrebbe anche aver avuto aspetti positivi, ma certo chi opera nel settore delle costruzioni e degli sviluppi immobiliari avrà sofferto.
Un diverso esempio che dimostra come le scelte politiche possono portare a disastri economici si può individuare nelle famose scale im-mobili di Arezzo: un progetto nato male, con macchinari e tecnologia inadatta, con costi annui di manutenzione pare prossimi ai 150.000€. Conveniva metterci una navetta, non sarà ecologica, ma ci costava meno delle scale im-mobili. Perché le risorse spese per la manutenzione sono ingentissime e chiaramente sottratte a qualche altro capitolo di spesa o costituite con maggiori tasse a carico dei cittadini: proprio un bel chiappo! L’esempio non è casuale, i cittadini più attenti ricorderanno chi era l’assessore competente a quella opera.
Faccio altri esempi: quando alla fine dello scorso millennio fu fatta la lottizzazione Baldaccio venne modificata la viabilità da via Petrarca al sottopasso Pescaiola. Una delle ultime opere fu il posizionamento di 27 (dico 27, ho le foto) semafori nel tratto adesso compreso fra le due rotatorie. Quella viabilità non era ancora aperta al pubblico e quando capirono che per ottenere un adeguato andamento dei ritmi semaforici un automobilista avrebbe impiegato 10 minuti per percorrere quei 200m, riaprirono il cantiere. Inserirono le due rotonde che adesso sussistono, rimuovendo i 27 semafori e relative centraline e cancellando tutte le strisce. Chi avrà pagato questi 27 semafori, i doppi lavori, i ritardi? I cittadini. I semafori ed il resto saranno andati in qualche magazzino, magari insieme alle pietre di Piazza grande che finirono per divenire muro di cinta privato d’un dipendente comunale. Non proprio un public servant. Piuttosto un furbino che scaricava i suoi lavori privati sugli aretini.
Sempre in quegli anni, alcuni ricorderanno la buca della nane ossia l’oltraggio fatto in Piazza del popolo dinanzi alla Misericordia dove qualcuno volle costruire in project financing un parcheggio interrato. Il Comune aveva concesso l’autorizzazione ad un lavoro così importante ad una società che non aveva le spalle grosse bensì un fisico da segaiolo. La società fallì e per anni rimase una buca che si riempiva di acqua all’interno. In quel caso il cittadino ha subito un disagio perché non poteva utilizzare una parte della sua città.
Arriviamo poi al danno diretto, che per esempio deriva dalla scelta attuale del Comune sotto Ghinelli di deviare 300.000€ a sostegno della società ATAM parcheggi spacciando quest’operazione con un regalo ai cittadini che possono utilizzare tre parcheggi gratuitamente. A parte che pagano tutti gli aretini, non soltanto coloro che utilizzano le vetture, ma il gestore del parcheggio privato coperto a poche decine di metri dal Baldaccio subisce un ingiusto danno perché il suo concorrente pubblico decide di regalare i propri servigi. Il bello è che pure il gestore paga per permettere quella operazione demagogica mentre contemporaneamente si vede messo in ulteriore difficoltà in un momento già estremamente drammatico. Se venisse compensato, gli aretini pagherebbero il conto: insomma come ti movi son cipolle.
Abbiamo una storia lunga di errori amministrativi in città, sempre da enti in cui il Comune contava e conta tuttora tanto.
La fraternita dei laici era la destinataria del lascito Vasari, dono di immenso valore che l’illustre letterato e artista aveva lasciato ai suoi concittadini e che la fraternita ha ben pensato di perdere (legittimamente) a favore di quello che ne doveva essere il custode: calci in culo a tutti. Un altro problema è la donazione di Ivan Bruschi, l’ideatore della Fiera antiquaria, che alla sua morte donò alla città l’immobile dove abitava (cosiddetto palazzo del capitano) e la sua collezione di antiquariato. Il Comune si tirò indietro e spinse la allora banca del territorio (Banca Popolare dell’etruria) a acquisirne la gestione. Col fallimento di Banca etruria e sua successiva vendita a Ubi quel lascito destinato agli aretini è amministrato dai bergamaschi: mi piacerebbe che tornasse totalmente agli aretini, con amministratori sorteggiati, come segno di buona volontà nel rispetto di quello che era il volere del defunto.
Prossimamente tornerò a parlare di partecipate e simili, un cancro della politica. Un mio vecchio pallino, come la mia proposta elettorale di riorganizzarle: si preferisce invece tenere in piedi partecipate simili con dispersione delle risorse e moltiplicazione dei costi. A proposito, ricordate chi lavorò per la privatizzazione delle farmacie comunali? Dove il Comune con il 20% di quote ottiene la nomina del presidente, solitamente per accontentare una parte politica o un potente. Se vi serve un aiutino mnemonico, guardate le odierne cronache giudiziarie.

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