Le parole di Ivo Brocchi su FB, per ricordare il vescovo emerito di Arezzo
“E’ stato il Vescovo della Diocesi aretina con il minor tempo di reggenza: appena due anni. Dal 1996 al 1998. Ma ha lasciato in tutti, credenti e non, un ricordo indelebile di uomo buono, vero pastore, concentratissimo sulle esigenze dei più bisognosi. Un Bergoglio ante litteram.
Ieri è morto all’età di 90. Era un frate Cappuccino. Flavio Roberto Carraro è rimasto frate anche quando ha indossato gli abiti gerarchici della Chiesa. Prima come Ministro Generale dei Cappuccini per 12 anni, poi come Vescovo di Arezzo prima e di Verona poi, dove fu inviato d’urgenza nel 1998 perché quella Chiesa, travolta dall’ondata leghista, si stava incamminando sul tradizionalismo involutivo, iniziando ovunque di nuovo a cantar Messa in latino. “Caro Ivo mi sta un po’ pensiero – mi disse a margine di una intervista prima di andarsene da Arezzo – perché vedo crescere anche nella mia Verona una pianta malefica che punta alle divisioni fra le persone e non al senso di comunità inclusiva”. Poi, con bastone e carota, riuscì a rimettere in ordine le cose.
Di lui, per tracciare brevemente un tratto del carattere, mi piace ricordare il primo incontro e la prima intervista, fatta a fine maggio 1996, quando era stato annunciato il suo arrivo ad Arezzo dopo la fine dell’era D’Ascenzi. Con Don Renato Bertini, sacerdote storico di San Gimignano, mio collega giornalista, andammo a conoscerlo ad Assisi. Viveva in una casa dei Cappuccini, proprio all’inizio del viale principale davanti alla Basilica Superiore di San Francesco. Incontro fra sconosciuti con il desiderio di conoscersi subito. E fu simpatia reciproca. Poi l’intervista sul terrazzino che guarda verso valle. Passando davanti ad una statua della Madonna, lui, Don Bertini e il mio operatore, si fecero il segno della Croce. Io no. Non sono credente. Carraro lo vide e mi disse: non ti sei segnato, avevo capito che non credi, ma almeno non fai finta come invece accade a tanti che vengono in Chiesa solo per apparenza.
Al momento dei saluti ci volle accompagnare fuori. Insistette tanto perché prendessimo qualcosa: un caffè, una bibita. Noi a dir di no, ma lui volle per forza portarci nel bar di fronte. Prendemmo un caffè io e Don Bertini, un bicchiere di acqua minerale il nostro operatore. Lui non prese nulla, mettendoci anche in imbarazzo. Poi volle per forza pagare lui. E i prezzi erano proprio da zona turistica, il doppio del normale. Gli facemmo capire che eravamo in difficoltà. “Vedete – ci disse – ho pagato con la cassa dei Cappuccini, perché io non tengo soldi miei. Dobbiamo essere ospitali, ma noi stiamo attenti alle spese evitabili. Le persone possono fare come vogliono, Noi abbiamo il dovere di non sprecare nemmeno una lira che potrebbe aiutare una famiglia povera”.
Grande Pastore padre Flavio. Grande uomo. Un onore e una fortuna averlo conosciuto e, anche se sporadicamente, frequentato”.